Davanti ai cancelli della Bridgestone di Modugno, zona industriale di Bari, è presente ormai da due mesi
il presidio dei lavoratori in mobilitazione a causa dell'annuncio della
chiusura dello stabilimento prevista per il 2014.
E' un sabato mattina piuttosto tranquillo. Il clima è ben diverso dai momenti
caotici e di massima rabbia vissuti a causa delle notizie provenienti dalla
direzione aziendale. Siamo seduti con alcuni lavoratori ai quali se ne
aggiungeranno altri, tra cui un pensionato che ha vissuto gli anni 60 e 70.
Un'epoca in cui i lavoratori della Firestone erano protagonisti di dure lotte e
vertenze. Oggi, invece, il futuro che si materializza vive un contesto
economico, produttivo e conflittuale ben diverso. L'occasione è quella ideale per
trascorrere insieme quasi tre ore e per farci raccontare i fatti, le opinioni e
le riflessioni, osservare e cogliere diversi stati d'animo e comuni punti di
vista.
Rivoltiamo
la precarietà - Quale idea vi siete fatti riguardo le
strategie della multinazionale Bridgestone dopo due mesi dall'annuncio della
chiusura dell'unico stabilimento in Italia?
Operai - Non è possibile che uno stabilimento
con queste dimensioni possa chiudere definitivamente. Pare che l'obiettivo sia
quello di un cambio di marchio, di una cessione. Secondo le logiche del mercato
non è possibile che un colosso, primo al mondo per produzione di pneumatici,
possa cedere ad una concorrente tutta l'esperienza, la professionalità e l'alta tecnologia di cui è dotato questo sito. Sarebbe come
offrigli un piatto già pronto per essere servito a tavola.
La questione è che i manager cadono sempre in piedi. Gli abbiamo chiesto di
dimettersi, per loro la dignità significa ben altro e che sia chiusura o cessione, a
livello dirigenziale, sono già tutti collocati con laute buone uscite e guadagni.
Delle proposte emerse durante gli
incontri istituzionali cosa non accettate assolutamente?
Assolutamente la chiusura dello
stabilimento e la riconversione produttiva di pneumatici a bassa gamma. Sarebbe
una lenta e inevitabile agonia verso la chiusura.
La Bridgestone è stata la prima azienda nel mondo a produrre la RFT, i pneumatici con
la "Run Flat Technology", che assicurano sicurezza e stabilità in caso di foratura e rapida
perdita di pressione del pneumatico. Da diversi anni in Europa, insieme allo
stabilimento di Poznam in Polonia, è qui che si è introdotta e si produce la RFT. Facciamo solo un
esempio per rendere l'idea delle capacità professionali presenti in fabbrica: mentre in
Polonia si sono impiegati quattro anni per avviare la produzione della RFT, qui
siamo riusciti a farlo in diciotto mesi. E questo non è dipeso dai macchinari, bensì da noi.
Per loro è facile impossessarsi del valore che col tempo noi abbiamo fatto
acquisire ai pneumatici in termini di comfort, convenienza e sicurezza. Tutte
caratteristiche che poi si tramutano in guadagno. E poi, che fanno
all'improvviso? Decidono di andar via!
Potete entrare più nel merito del vostro
ruolo, come lavoratori, nel ciclo produttivo all'interno della fabbrica?
In questo stabilimento esiste
una capacità altamente tecnologica sia produttiva che tecnica. Il tutto è fondato sulla nostra abilità di trasformare il pneumatico
dalla fase di progettazione, eseguita dall'equipe di chimici ed ingegneri, alla
realizzazione del prodotto finito, apportando durante il ciclo produttivo tutte
quelle modifiche, integrazioni, aggiustamenti che spesso rendono il pneumatico
più idoneo rispetto alla norma.
Non solo! E' risaputo e ne siamo ben consci che il più delle volte riusciamo a
modificare anche la funzionalità dei macchinari per apportare un'innovazione, un
reale miglioramento qualitativo al pneumatico, che con la semplice capacità originaria della macchina non si
sarebbe ottenuto.
Per chi lavora qui dentro ormai da vent'anni, durante i quali si sono ricoperte
diverse mansioni (dalla manutenzione dei macchinari in officina alla gestione
del magazzino), è anche capitato che quando si ricevevano da "casa madre"
macchinari con anomalie siamo stati noi operai a renderli più efficaci. La manutenzione
raramente è stata ordinaria. Nel reparto trafila siamo riusciti anche a
raddoppiare la velocità produttiva da 5 a 10 metri al minuto. Da 13/14 pollici il pneumatico è passato a 15/16 pollici senza
alcun cambio di tecnologia e quindi di investimenti da parte dell'azienda.
Quella che chiamano "produttività" noi l'apportiamo implicitamente senza che ci
sia stato un riconoscimento economico-salariale. Senza alcuna gratificazione,
se non le solite frasi "siamo tutti una grande famiglia!"
Spesso sono stati gli stessi manager, provenienti anche da altri stabilimenti,
a frequentare corsi di aggiornamento in cui eravamo noi ad intervenire, a
tenere le lezioni. Nel 2007, l'anno in cui si è iniziato a parlare di crisi, abbiamo raggiunto il
record di spedizioni e di aumento della produzione. Si producevano 460 mila
pneumatici al mese. Poi è iniziato a cambiare qualcosa: periodi di fermo della
produzione, di cassa integrazione fino alla notizia di qualche settimana fa.
Come vi state
organizzando per fermare e ribaltare la scelta della chiusura dello
stabilimento? E fino ad ora a cosa è servito il presidio
davanti ai cancelli della fabbrica?
Al momento le istituzioni e i
sindacati hanno ben compreso la portata della chiusura, eventuale cessione o
riconversione produttiva al ribasso. Si è avuta un'alta visibilità mediatica, siamo riusciti a far
rumore collettivamente con l'azione di boicottaggio commerciale; l'azienda ha
ritirato la volontà della chiusura irrevocabile. Ma questo non basta. Gli incontri
successivi hanno dimostrato che le altre opzioni proposte non sono soddisfacenti,
anzi portano dritto all'abbandono graduale e alla perdita del lavoro. Noi
crediamo che oggi l'obiettivo deve essere condiviso in pieno, deve esistere una
sorta di intersindacabilità. Più che in passato, c'è bisogno di maggiore collaborazione tra lavoratori e
RSU.
Il presidio sta diventando uno spazio formativo, di partecipazione dei
lavoratori a problematiche, criticità alle quali in passato non badavamo o abbiamo
sottovalutato. Oltre alle assemblee sindacali, iniziamo a scambiarci maggiori
informazioni, a valutare quali strategie impiegare per evitare la chiusura, per
far comprendere alla Bridgestone che non siamo assolutamente indifferenti.
Adesso non possiamo permettere che i macchinari vengano smontati, escano dallo
stabilimento. Dobbiamo badare anche all'uscita dei pneumatici, alle spedizioni.
E' necessario continuare a ricercare ed attuare forme di contrasto alla
strategia aziendale. Il sit-in è una forma di difesa. L'azienda agisce con furbizia,
agisce per il "dio denaro". Noi per resistere, per la salvaguardia di
un lavoro che ci fa vivere dignitosamente.
Nel bel mezzo della discussione arriva Tonino, ex-operaio in pensione.
Subito
ci ha voluto raccontare la storia della Bridgestone, quando nel 1985, ancora
Firestone, dopo 16 giorni di sciopero ad oltranza non si è riusciti a fermare l'introduzione
del ciclo continuo: 21 turni e mezzo settimanali inclusi i sabato, le domeniche
e festivi. Ma solo dopo alcuni anni, nel 1990, la produzione inizia ad essere
di troppo. Iniziano gli esuberi per 300 lavoratori, si elimina la produzione
dei pneumatici per camion e inizia quella di alta qualità.
Già a quel tempo i lavoratori, poco
supportati dalla "triade confederale" (cgil, cisl e uil), così li chiama Tonino, iniziavano ad
accorgersi che c'era qualcosa che non sarebbe andato a buon fine nel lungo
periodo. Non andava la logistica, i pneumatici uscivano dalla fabbrica su
camion, il trasporto su rotaie veniva abbandonato.
Mentre i gruppi più grandi (Bridgestone, Pirelli, Michelin) si dividevano il mercato dei
pneumatici, questi non hanno assolutamente considerato i piccoli gruppi che
producevano in Cina e nel sud-est asiatico con costi inferiori anche del 50%.
Come si sono successivamente adeguati? In Brasile la Bridgestone ha aperto uno
stabilimento con appena 50 lavoratori alle proprie dipendenze, mentre migliaia
di altri operai sono stati assunti da aziende appaltatrici e subappaltatrici
senza i minimi requisiti di sicurezza, diritti e trattamento economico.
Inizia così un dibattito tra i lavoratori
presenti. Al centro dell'attenzione è messa la politica
economica dell'Europa, i problemi sistemici provocati dalla globalizzazione.
Se i lavoratori polacchi oppure
quelli serbi che lavorano per la Fiat, come hanno iniziato a rivendicare,
dovessero ottenere un miglioramento delle condizioni di lavoro, della qualità alla sicurezza, questa corsa al
ribasso potrebbe arrestarsi. Eppure la Bridgestone, come tante altre, ha
usufruito di sgravi fiscali, incentivi, è stata favorita per aumentare gli utili. Tutto questo
è permesso dall'Europa. Pare
complicato, ma la questione è semplice. C'è bisogno di regolamentazione, altrimenti qui implode
tutto. Si sta ritornando indietro di decenni, quando le persone non riuscivano
a vivere, se non addirittura a mangiare. Se riusciamo ancora ad arrivare a fine
mese è perchè ci sono i genitori, i loro risparmi.
In due anni le buste paga piuttosto che migliorare sono diminuite di 200/300
euro. Non fanno altro che chiederci sacrifici. E loro? Continuano a fare
profitti. Nel 2011 l'utile di questo stabilimento è stato di 6 milioni di euro.
Qui dentro c'abbiamo lasciato pelle ed energie. Dal 1994 al '99 ho lavorato 10
ore al giorno, anche di sabato, domenica e festivi. Poi all'improvviso si è passati alla cassa integrazione.
Nel frattempo però si sono serviti degli interinali per coprire i picchi di produzione.
Ragazzi, gran parte padri di famiglia, con contratti a termine rinnovati
periodicamente ogni sei mesi, un anno.
Questa è la situazione attuale in fabbrica, la nostra come tante altre. A
qualche centinaio di metri da qui i lavoratori della Om Carrelli vivono già da qualche anno una situazione
simile.
Le fabbriche della zona industriale di Bari-Modugno nella crisi
- Isotta
Fraschini 200 dipendenti, ricorso saltuario alla cigo (cassa integrazione
ordinaria)
- Thermocold 27 dipendenti, mobilità e 17 licenziamenti senza accordo sindacale
- Siret, cassa integrazione per tutti i 39 lavoratori
- Sidercamma, Cigo e mobilità per 12 lavoratori su 35
- E.M.C. 38 dipendenti, utilizzati tutti gli ammortizzatori sociali, licenziati
11 lavoratori
- Sirti 160 dipendenti, in Cigs (cassa integrazione straordinaria) e contratto
di solidarietà per 42 lavoratori
- Bridgestone 950 dipendenti, annuncio chiusura nel 2014
- Bosch 1975 dipendenti, contratto di solidarietà per una parte degli operai
- OM carrelli 224 dipendenti, trattative per l'acquisto. Attualmente lavoratori
in Cigo
- Osram 240 dipendenti, cassa integrazione a rotazione
- Magneti Marelli 920 dipendenti, cigo a rotazione
- Prysmian cavi 99 dipendenti, riduzione turni di lavoro e procedure di mobilità
- Getrag 780 dipendenti situazione stabile, ma senza un piano industriale
adeguato
- SKF 400 dipendenti, esubero 50 lavoratori
- Oerlikon 400 dipendenti, cigo a rotazione
Bari,
maggio 2013
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