Matteo Renzi ha vinto. E' lui il nuovo che avanza. Lo era già da tempo ma con le primarie dell'Immacolata si è consacrato definitivamente in questo ruolo.
Chiude un'epoca, quella aperta da Achille Occhetto con la svolta della Bolognina, anche se non è possibile sapere quanto durerà e come lo farà.
Diciamo innanzitutto che la polemica su quanto il segretario del Pd sia più o meno di sinistra non ci interessa. Per la semplice ragione che il Pd ha smesso di essere il partito della sinistra – se per sinistra si intende una traduzione politica, riformista o radicale, degli interessi di una determinata classe – da tempo lontano. Sono forse di sinistra D'Alema, Veltroni, Bersani e tutta la generazione di ex Pci che sono usciti con le ossa rotte dal voto delle primarie? Non è stato il principale antagonista di Renzi, D'Alema, a importare per primo in Italia il pensiero blairiano a metà degli anni 90 quando battagliava, pesantemente, con la Cgil di Sergio Cofferati? E sempre D'Alema non aveva forse "sdoganato" la guerra a sinistra, bombardando Belgrado con i suoi partner nella Nato? Non era stato già Veltroni, nel 2007, con il discorso del Lingotto a dare l'assalto all'articolo 18 e poi, da segretario, a sdoganare il razzismo istituzionale dopo l'omicidio Reggiani a Roma? Gli esempi potrebbero continuare.
La verità è che Matteo Renzi è l'esito naturale di un declino costante durato decenni. E che in parte affonda nella vita dello stesso Pci prima del suo scioglimento. L'idea che ha sostenuto questa tramutazione lenta e costante ha ruotato attorno all'abbandono di una visione classista unita a una visione liberale dell'economia, della politica e della società. Oggi il sindaco di Firenze la porta alle estreme conseguenze essendo, per età, anche figlio del ventennio berlusconiano.
Quello che, però, rende ancora più schiacciante la vittoria e inesorabile il suo cammino è che, alle sue spalle, esiste uno sterminato campo di macerie prodotto da quella sinistra che è parsa contrapporsi a lui. Renzi spazza via la generazione di quelli che sono nati nel Pci - ma anche nella Dc – e che hanno gestito, insieme a Berlusconi, l'intera Seconda Repubblica. Può darsi che cada repentinamente in molti errori e ripercorra le strade già battute ma l'efficacia del suo messaggio è una carica di innovazione resa forte e inarrestabile da un cumulo di errori, nefandezze e colpi ripetuti a quello che era rimasto dell'identità di sinistra.
Dopo le fallite elezioni di febbraio 2013 e il respinto tentativo di Bersani di entrare a Palazzo Chigi – tentativo avviato proprio sulla sconfitta di Renzi alle primarie dello scorso anno – il campo democratico è stato così ricoperto di frustrazioni e delusioni al punto che la rottura generazionale è sembrata l'unica carta finalmente spendibile per un elettorato martoriato. L'ultima, forse, come il sindaco fiorentino ha osservato nel suo discorso della vittoria. Quell'elettorato non crede più da tempo a palingenesi classiste, è parte integrante del sistema sociale ed economico e vorrebbe vederlo gestito con razionalità, pulizia e modernità. Renzi prova a rappresentare, da tempo, un blocco sociale identificabile nelle professioni, nell'imprenditorialità, in ceti medi non ancora incattiviti dalla crisi, nella precarietà intellettuale che domina gran parte del dibattito web, nel lavoro dipendente medio-alto o inserito nella pubblica amministrazione come gli insegnanti (il nuovo cavallo di battaglia). Ma anche in quel “buon senso” democratico che condiziona, da sempre, il dibattito ufficiale del centrosinistra.
Da ultimo, gli ha giovato molto la sentenza della Corte costituzionale sull'incostituzionalità della legge elettorale. Quella decisione è stata percepita come la vittoria della “palude” istituzionale e il ritorno delle trame di palazzo. Il voto a Renzi, da questo punto di vista, si carica della stessa volontà che premiò Prodi e poi Veltroni.
Ma come sarà l'era Renzi? Il sindaco di Firenze, se riuscirà, rappresenterà la fine delle ambiguità e degli equivoci a sinistra. Il Pd si rappresenterà correttamente per quello che è: una sinistra liberale di stampo anglosassone che potrà unire libertà economiche, individuali e civili (al netto dell'influenza del Vaticano). Non è detto che un progetto di questo tipo possa vincere. Il blocco che sostiene Renzi è preciso e identificabile ma, a prima vista, sembra minoritario. Quello che lo contrasta è disperso: una parte sta con Berlusconi, un'altra con Grillo, una parte è fuori dalla rappresentanza politica, un'altra parte, ancora, sta nel suo stesso partito. Ma è la stragrande maggioranza
La vittoria di Renzi, quindi, non è interessante per il grado di polemica a sinistra che può suscitare quanto per gli spazi che lascia scoperti e le domande che sollecita. Se ci fossero energie, idee e ricambio generazionale adeguato, a sinistra ci sarebbero le condizioni per creare un progetto alternativo che metta da parte, una volta per tutte, l'alleanza con il Pd e si dedichi a costruire una prospettiva con assetti, sociali, economici e, quindi, anche politici, davvero nuovi. Una sinistra all'altezza della crisi che si ponga il compito di governare immaginando un percorso di rottura, democratico, partecipato, per questo obiettivo. Ma quelle energie al momento non ci sono. E il luogo in cui ricrearle non è lo spazio della rappresentanza, occupato dalle tattiche e dalle manovre. Il Parlamento è ormai percepito come il luogo di gestione del sistema, a prescindere dalle maggioranze o dalle opposizioni. Per questo Grillo urla tanto – in maniera sempre più scomposta e sempre più intollerabile - per tenersi lontano e fuori dalla cerchia della politica “politicante”. Un progetto alternativo si ricostruisce “fuori” pur sapendo che una forma politica compiuta – quale e in che tempi non è oggi possibile dire – andrà prima o poi realizzata. Le primarie del Pd non ci riguardano ma parlano anche di noi.
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