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La riappropriazione di spazi in stato di abbandono è
una pratica che negli ultimi tempi si sta sempre più diffondendo. Di
fronte alla negligenza e al ‘muro di gomma’ istituzionale, si tratta di
risposte dentro e contro le politiche di austerity, dei tagli al
welfare; risposte all’impoverimento generalizzato nel quale siamo
costretti a vivere. Queste esperienze, all’interno di percorsi di autorganizzazione diventano luoghi di solidarietà,
creano gli embrioni di una democrazia reale tutta da costruire, dove
discutere come soddisfare i nostri bisogni effettivi, fuori dalla logica
del profitto e del mercato.
L’occupazione a scopo abitativo dell’ex-liceo Socrate di Bari,
avvenuta da parte di rifugiati politici nel dicembre del 2009, ha
contribuito a modificare la stessa idea e pratica di occupazione: sia
nella costruzione delle relazioni con il vicinato
e tutta la città sia nelle forme di autogestione interna tra gli
abitanti. Oggi i migranti sono organizzati in un’Associazione, quale
referente giuridico per il “progetto di autorecupero”
e per l’ottenimento della residenza, che ha favorito la legittimazione e
stabilizzato la permanenza interna, rendendola sempre più un’abitazione
durevole piuttosto che un dormitorio di transito.
Oggi quasi 30 aule sono state parzialmente recuperate e rese il più funzionali possibile alle esigenze di vita quotidiana (si veda la rassegna fotografica).
Le stanze sono arredate non solo per dormirci, bensì presentano spazi
adibiti alla vita comunitaria, alla cucina, al tempo libero. Tutto il
mobilio, gli elettrodomestici, qualsiasi oggetto presente è riciclato, riutilizzato grazie
ad una serie di relazioni informali presenti in città tra i migranti e
le comunità di riferimento, non solo quelle dei paesi di provenienza, ma
anche reti di mutuo soccorso molto più ampie ed eterogenee.
Se da un lato aumentano gli arrangiamenti
quotidiani basati su un ‘welfare state’ sempre più striminzito e reti di
sostegno che si stanno progressivamente sfaldando, nel Socrate si tende
a costruire una vera e propria «arte del mosaico» i cui tasselli sono pezzi di welfare che
dipendono sia dall’accesso a servizi ancora universali, ma sempre più
limitati (come il servizio sanitario pubblico), sia dalla capacità di
mobilitare reti di solidarietà come la famiglia allargata, le
associazioni intermedie e i circuiti amicali. L’impoverimento costringe a
rafforzare questi legami seppur con esiti contraddittori e non sempre
facilmente gestibili collettivamente. Costringe ad accettare lavori di
ogni tipo, il più delle volte sottopagati, a nero, e a risparmiare sui
consumi di base, che si riescono a compensare grazie al non pagamento
dell’affitto e delle utenze, quale risultato parziale della vertenza
economica con le istituzioni. Tuttavia queste pratiche non mettono al
riparo i migranti dal rischio di una cronicizzazione della povertà e
dallo sfruttamento della forza lavoro, che ormai riguarda fasce sociali
sempre più ampie e stratificate.
Il progetto di autorecupero, nato dalla collaborazione tra l’Associazione Socrate, Ingegneria senza frontiere-Bari e Rivoltiamo la precarietà (CommuniaNetwork),
diventa fondamentale proprio per non fermarsi a forme di sopravvivenza
sempre più a rischio marginalizzazione. Infatti riuscire a ottenere
risorse provenienti dalle amministrazioni pubbliche, da strappare allo
sperpero dei finanziamenti alle multinazionali o per il pagamento del
debito pubblico illegittimo, è un obiettivo che mira a soddisfare
esigenze imprescindibili.
Nel merito, attraverso un protocollo d’intesa, si prevede l’avvio di un ‘cantiere sperimentale’ di recupero parziale e assistito dell’edificio, attraverso un percorso che miri a:
- favorire l’inclusione tra la Comunità ed il resto del tessuto sociale urbano;- garantire il diritto ad una abitazione propria e dignitosa per soggetti deboli e con difficoltà economiche;
- promuovere l’autorecupero di una struttura pubblica dismessa, attraverso l’applicazione di tecnologie compatibili con l’ambiente, in cui siano gli stessi abitanti a partecipare attivamente alla sua ristrutturazione, a partire dalla messa in sicurezza e dal ripristino dell’impianto idraulico ed elettrico;
- facilitare l’acquisizione di professionalità tecniche da parte dei migranti, attraverso una fase di formazione necessaria nell’autorecupero, requisiti utili per favorire l’inserimento lavorativo dei migranti;
- restituire uno spazio alla collettività, attraverso l’attivazione di servizi per l’intera cittadinanza.
Questa esperienza, che deve fare i conti con gli intralci burocratici e le varie autorizzazioni affinché abbia inizio l’avvio della fase di progettazione architettonica, rappresenta una risposta valida ed alternativa al problema del disagio abitativo. La sua realizzazione può diventare un esempio di buona pratica di coinvolgimento degli abitanti nell’acquisizione del diritto alla casa, attraverso la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e la sua riqualificazione. Una sperimentazione riproducibile, che permette di ripensare la residenza popolare a favore delle esigenze del territorio e della popolazione; che apre un ulteriore orizzonte tutto da scoprire: il legame tra riuso immobiliare a scopo abitativo ed avvio di attività lavorative, attraverso pratiche di autoproduzione che siano ‘fuori mercato’ e garantiscano un reddito a ‘sfruttamento zero’.
di Rivoltiamo la precarietà (febbraio 2014)
Guarda il video reportage
.
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