La presenza del centro di accoglienza per richiedenti asilo (C.A.R.A.), sommata alle leggi europee e nazionali, che limitano in maniera considerevole la libera circolazione dei cittadini stranieri che riescono ad ottenere lo status di rifugiati per motivi politici o umanitari, rende Bari (così come tutta l'Europa) una città che necessita di un'altra idea e pratica di accoglienza ed inclusione sociale. I trattati di Dublino, infatti, legano i rifugiati ai Paesi nei quali vengono identificati, costringendoli a palesarsi periodicamente presso gli uffici di competenza per confermare la propria presenza. Col tempo Bari è divenuta un luogo di stazionamento più o meno lungo. Tanto da favorire la nascita di vere e proprie comunità migranti, che sono diventate nel corso degli anni veri e propri punti di riferimento per i “nuovi arrivati” di volta in volta.
Le amministrazioni locali che si sono susseguite non sono state capaci di garantire una degna "seconda accoglienza" per tutti i rifugiati presenti sul territorio, nonostante la legge disponga che siano proprio gli enti locali ad averne competenza, dopo che queste ricevono annualmente, per mezzo dei governi nazionali, considerevoli fondi provenienti dall'UHCNR e dall'UE. Ma la metodologia di utilizzo di queste risorse in Italia (S.p.r.a.r.) appare nel suo complesso assolutamente inefficace a causa di una serie di passaggi ambigui ed inutili gestiti tra pubblico e privato (terzo settore, imprese sociali, ecc.), in cui i migranti sono considerati degli utenti di servizi piuttosto che dei portatori di diritti e bisogni. Nel 2009 un gruppo di migranti, dopo le solite estenuanti attese, costretti a dormire nella stazione ferroviaria e nei giardini adiacenti, supportati dalla rete antirazzista, ha occupato il Ferrhotel, una struttura di proprietà delle Ferrovie dello stato, per farne una casa.
L'OCCUPAZIONE Nel dicembre dello stesso anno sulla scia di un accentuato protagonismo degli stessi migranti è stato occupato un altro edificio. Dopo un infruttuoso sit-in di due giorni sotto il Palazzo di città per rivendicare il diritto alla casa, più di 120 rifugiati tra eritrei, etiopi e sudanesi, che dormivano per strada hanno deciso di occupare un ex liceo, il Socrate. L’occupazione è sostenuta da un gruppo di giovani precari organizzato nel collettivo di supporto; i migranti che vi si sono stabilizzati sono un’ottantina, soggetti a un costante “turn-over” stagionale per lavorare nei campi o ad intermittenza in città (soprattutto nel settore della ristorazione), il più delle volte senza contratto e sottopagati. La struttura non gode di allacci all’acquedotto e alla rete elettrica. L'acqua è garantita da due grosse cisterne presenti nel seminterrato, quella potabile invece è raccolta da una fontana pubblica; l'energia elettrica è garantita da tre generatori. Tutto ciò è reso possibile da una costante attività di autofinanziamento, che caratterizzano l'autogestione della struttura: dalla presentazione di libri a cineforum interattivi, da concerti a cene sociali, dai corsi di italiano per migranti alla promozione di iniziative per i diritti sociali e civili e contro la precarietà, dall'esperienza del “ca.co. Festival” alla presenza di una palestra popolare. La vita interna è scandita da regole comuni discusse dagli stessi migranti e dal collettivo di supporto. Col tempo la presenza del Socrate occupato ha raccolto la solidarietà del quartiere, ha promosso maggiore sensibilità verso le condizioni di vita e lavoro dei migranti, ha contribuito allo sviluppo dal basso di una rete di supporto legale e sanitario ed è divenuto negli ultimi anni un punto di riferimento sociale e politico per la promozione di una cultura critica e di opposizione al razzismo istituzionale e di supporto alle lotte dei migranti: da quelle del Cara di Bari-Palese a quella della tendopoli di Manduria (Ta), allo sciopero dei braccianti di Nardò (Le).
L’EDIFICIO L’immobile situato a Bari è stato edificato negli anni ’70 come edificio per edilizia residenziale e settore terziario. Dopo alcuni passaggi di proprietà, entra a far parte del patrimonio del Comune fino al 1998, quando viene trasferito alla Provincia in uso gratuito e col vincolo di destinazione ad uso scolastico, diventando la sede del Liceo classico “Socrate”. Nel 2004 a seguito della manifestazione di alcuni fenomeni di degrado strutturale, dopo uno studio di affidabilità statica, l’edificio viene dichiarato inagibile e lasciato in uno stato di abbandono, fino all'occupazione di fine 2009. A partire da maggio 2011 tra i migranti (organizzati in un comitato), il collettivo di supporto e l’associazione “Ingegneria senza frontiere – Bari” nasce una collaborazione per promuovere un “progetto partecipato di recupero della struttura”.
IL PROGETTO Nei suoi caratteri generali il progetto mira all'inclusione sociale dei migranti, contribuendo alla riduzione del disagio abitativo. In quest’ottica nell'ultimo anno i tre soggetti protagonisti hanno promosso nei confronti del Comune e delle istituzioni pubbliche azioni specifiche quali l’ideazione di un progetto partecipato di riqualificazione dell’edificio da destinare alla “seconda accoglienza” dei rifugiati, la formazione professionale di alcuni membri della comunità migrante nel settore edile e la realizzazione dell’intervento di autorecupero. Nello specifico il progetto mira all’elaborazione di uno studio di fattibilità per un intervento di ripristino strutturale e di riqualificazione dell’edificio attraverso il processo edilizio dell’autorecupero che prevede l’affidamento dei lavori di ristrutturazione ai futuri assegnatari degli alloggi, i quali partecipano già attivamente sia alle fasi di progettazione, che a quelle di esecuzione dopo, come “autocostruttori”.
L’AUTORECUPERO L’autorecupero si configura come una “buona pratica” che è stata applicata in contesti analoghi in Italia e in varie parti del mondo con risultati soddisfacenti e, oltre a rappresentare una buona soluzione tecnica negli interventi di riqualificazione edilizia, attraverso l’applicazione di tecnologie “appropriate” e compatibili con l’ambiente, contribuisce all’integrazione sociale dei beneficiari. Inoltre permette a soggetti e nuclei familiari italiani e stranieri di realizzare il diritto ad un’abitazione dignitosa, a prezzi accessibili, ponendosi come valida soluzione per contrastare il disagio abitativo. Attraverso la partecipazione ai lavori di cantiere,negli interventi svolti in autorecupero si è peraltro registrato un abbattimento dei costi economici dei lavori stimato tra il 40-60% del totale. Per le Amministrazioni locali si tratta di una soluzione alle spese di ristrutturazione degli edifici in degrado o di manutenzione di edifici sfitti, nonché un’iniziativa volta alla valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e al miglioramento della qualità ambientale. Oltre ai requisiti legislativi ed amministrativi richiesti, l'autorecupero presuppone sia un significativo apporto di conoscenze, metodologie e certificazioni nel corso dei lavori, sia un alloggio salubre ed eco-sostenibile sul piano della qualità architettonica, della durabilità, del risparmio energetico, della biocompatibilità. L’autorecupero a scopo sociale vuole promuovere politiche per il diritto alla casa, non assistenziali e che valorizzino le risorse e le capacità di cui gli abitanti sono portatori; politiche fuori dal mercato della speculazione edilizia, dalla ricerca del profitto e dalla svendita del patrimonio pubblico.
di Rivoltiamo la precarietà
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