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giovedì 3 ottobre 2013

La strage di Lampedusa e l'ipocrisia del potere

L'ennesima morte di decine, centinaia di migranti nel Mediterraneo non è una novità. Sconcerta ogni volta che accade, si susseguono immagini, notizie tra servizio giornalistico e talk show, pietismi morali e voci politiche imbarazzanti, ipocrite. Voci complici di un'Europa che riafferma senza veli e mediazioni la propria cultura "civile" individualistica, caritatevole, distratta dal dispotismo del mercato e difficilmente pronta a domandarsi fino in fondo chi siano i responsabili delle morti e dei flussi migratori continui da una sponda all'altra del Mediterraneo.
Un'Europa pronta da una parte con i suoi governi e le sue governance sovranazionali a reagire con bombardamenti, rivendicando la protezione di intere popolazioni dai regimi da loro stessi fagocitati e supportati, per poi disconoscerli schierandosi a favore di chi protesta, si ribella per migliorare le proprie condizioni di vita. Ma quelle stesse persone che si rivoltano e rivendicano libertà e democrazia, che scappano da guerre e conflitti combattuti con le armi Made in Europe and Italy, o non riescono ad arrivare sulle coste del Sud Europa o quando arrivano sono considerate clandestine, illegali, destinate ad essere rinchiuse nei C.a.r.a. ormai decadenti e inumani, pronte ad essere identificate per decidere nel frattempo che fare di loro: rispedirle da dove sono arrivate, segregarle nei CIE o riconoscergli lo status temporaneo di profugo per renderle funzionali alle esigenze dell'economia di mercato dell’occidente "culla della democrazia".

Da decenni è in corso in Italia un progressivo e ben congegnato processo di istituzionalizzazione del razzismo. Poco conosciuta e raramente discussa è la legge Martelli del 1990, che ha ratificato anche a livello nazionale una ridefinizione epocale dello status di rifugiato, in cui si introdusse una legislazione organica sull'immigrazione. Se da un lato poteva sembrare che si stesse sanando una situazione pregressa di incertezza e clandestinità, in concreto si apriva la strada a una più rigida programmazione dei flussi e del regime delle espulsioni, profetizzando quella che oggi, prima con la legge Turco-Napolitano (che nel 1998 dà il via agli attuali Centri di identificazione ed Espulsione) e poi con la Bossi-Fini, è diventata la "normale eccezione": una più rigida e netta ripartizione tra migranti regolari e migranti irregolari, un processo di "mangement dell'immigrazione" tra disciplinamento e provvisorietà sociale e lavorativa.
Di fronte all’incapacità dei governi di gestire queste contraddizioni c’è bisogno di combattere contemporaneamente sia l’instabilità della cittadinanza che quella del lavoro; porre fine allo “status” di clandestino,riconoscere e garantire concretamente a tutti la libertà dignitosa e umanitaria di circolazione, anche quella che lega le due sponde opposte del Mediterraneo, abolire una volta per tutte il permesso di soggiorno vincolato al contratto di lavoro (disciplinata dalla Bossi-Fini). Solo così alla reale cittadinanza si unisce la rottura col meccanismo che consente lo sfruttamento di manodopera a basso costo, da utilizzare come merce ad uso e consumo di chi estorce manodopera altrui per arricchirsi sempre più.
E poi a poco servono gli “appelli all’Europa” da parte dei governanti nostrani a “non lasciare sola l’Italia di fronte all’emergenza”. A nulla servono le visite immediate di una Presidente della Camera o del Ministro di turno sul "luogo del delitto" per sentirsi assolti quando la realtà dei fatti dice che sono più che coinvolti, anzi protagonisti di complicità. L’idea dell'“Europa fortezza” che deve respingere i migranti nei loro paesi di provenienza, ed accogliere eventualmente (se ce la fanno) solo i profughi, va respinta. Gli accordi di Shengen e di Dublino vanno aboliti. Le rivendicazioni presenti nelle lotte e mobilitazioni dei migranti che si susseguono e manifestano in Italia parlano di questo. La concessione del permesso di soggiorno, la libertà di movimento, l'opposizione allo sfruttamento e al razzismo istituzionale presenti nei percorsi di autorganizzazione dei migranti più che stupirci, devono far riflettere fino in fondo soprattutto coloro che li considerano ancora come vittime silenziose, ospiti transitori, oggetti culturali o cadaveri da raccogliere nelle acque del Mediterraneo.
di Thomas Müntzer

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