Dopo gli arresti della manifestazione del 19 ottobre a Roma proponiamo un articolo sulla repressione e sull'amnistia apparso su CommuniaNet.org
(foto del Collettivo per l'autogestione - Urbino)
L'8 ottobre scorso, con un messaggio inviato alle Camere, il Presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano ha posto formalmente al Parlamento
il tema del sovraffollamento carcerario e dell'amnistia. L'intervento
del Presidente è stato sollecitato da una sentenza della Corte Europea
dei diritti dell'uomo (Corte Edu), approvata nel gennaio 2013 e resa
definitiva a maggio, che intimava all'Italia di porre rimedio alla
situazione di sovraffollamento carcerario entro un anno dalla sentenza
definitiva (e quindi entro maggio 2014). Nel suo messaggio, il
Presidente ha proposto misure di carattere strutturale, come la
previsione di misure restrittive della libertà alternative al carcere, e
la costruione di nuove carceri. Tuttavia, data la ristrettezza dei
tempi imposta dalla sentenza europea, il Presidente ha suggerito
l'impiego di misure straordinarie come l'amnistia (che prevede
l'estinzione del reato) e l'indulto (che prevede l'estinzione della
pena).
Le reazioni della politica istituzionale non si sono fatte attendere.
Il Pd, preso come al solito alla sprovvista dopo anni di retorica
giustizialista attinta a piene mani dal bagaglio culturale della destra,
apre timidamente all'amnistia e, non sapendo che altro dire, aggiunge
per bocca del suo segretario che il problema non è svuotare le carceri,
ma evitare che si riempano di nuovo.
Più interessante la reazione del Pdl. Dopo aver contribuito per oltre
vent'anni a riempire le carceri di poveracci con leggi come la
Fini-Giovanardi sulle droghe o la legge sul reato di immigrazione
clandestina del 2009, il partito riscopre la sua anima ferventemente
libertaria in seguito alla condanna definitiva del suo capobastone,
Berlusconi; così i deputati Pdl alla Camera, nell'udire la parola
“amnistia” e intravedendo la possibilità di dare un colpo di spugna ai
precedenti del loro capobanda, hanno levato un applauso corale, nemmeno
fossero dei campesinos messicani al termine di un comizio di Pancho
Villa.
Al di là del fondato sospetto che questa amnistia possa essere usata
strumentalmente per salvare Berlusconi, la proposta di amnistia
presentata dal Presidente e il dibattito che ne è seguito presenta dei
limiti evidenti. Nonostante tutta la retorica che si fa attorno alle
condizioni di vita nelle carceri italiane, giustamente definite inumane,
non viene spesa mezza parola sulla vergogna rappresentata dai
famigerati Centri di identificazione ed espulsione (Cie), dove vengono
rinchiuse persone che non hanno violato alcuna norma penale, e dagli
Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), sette sul territorio nazionale,
riconosciuti illegittimi costituzionalmente nel 2003, ma ancora aperti
nonostante un decreto ne prevedesse la chiusura nel marzo 2013 (tale
chiusura è stata rimandata – per ora – ad aprile 2014).
Gli stessi interventi strutturali prospettati nel dibattito svolto
finora non si propongono di eliminare le norme reazionarie e criminogene
sorte negli ultimi anni, ma si limitano a modificarne le pene; le norme
inique, col loro carico repressivo e di controllo poliziesco restano,
ma invece di finire in carcere (perchè poi si fa brutta figura con
l'Europa) si finisce ai domiciliari, con l'obbligo di firma o con multe
salatissime.
Quello dell'amnistia resta nondimeno un tema di stringente attualità,
che riguarda non soltanto i 65mila detenuti nelle carceri italiane (su
una capienza regolamentare di 47mila persone). Da oltre vent'anni
qualsiasi manifestazione del conflitto sociale viene trattata come un
problema di ordine pubblico piuttosto che come una questione sociale e
politica. È logico che le lotte sociali, anticipando le legalità future,
entrino in frizione con le legalità presenti; finchè la politica si è
fatta carico di queste frizioni, esse si sono risolte nell'allargamento
dei diritti e della democrazia; quando invece, come adesso, ad occuparsi
di queste frizioni sono la polizia e magistratura, l'unica risposta
possibile è la repressione: così, chi libera e riqualifica gli spazi
inutilizzati nelle città diventa un ladro, chi lotta per il diritto
all'abitare è un bandito, chi si oppone alla devastazione del territorio
dove vive è un terrorista.
Alcuni giuristi denunciano questa svolta repressiva, sul piano del
diritto penale, come uno spostamento da un sistema giuridico basato sui
diritti della persona ad un sistema giuridico basato sulla ragion di
Stato; oggi la ragion di Stato coincide con la ragione della finanza e
delle grandi corporations, come sanno bene coloro che lottano contro le
devastazioni ambientali e che vengono accusati di terrorismo, le
studentesse e gli studenti, regolarmente massacrati dalla polizia, e i
precari e le precarie che perdono il loro lavoro, sacrificato
sull'altare del profitto. La questione dell'amnistia riguarda loro e
quindi tutti noi, perchè quando le istanze sociali non vengono più colte
dalla politica, ormai muta, ma dalla polizia e dalla magistratura,
chiunque si alzi in piedi per difendere i propri diritti e la propria
vita rischia di venire trattato come un criminale; ma resistere allo
sfruttamento e ai soprusi non è criminale, è questione di vita o di
morte.
Occorre quindi disinnescare la narrazione compassionevole e paternalista
per cui l'amnistia serve perchè le carceri sono piene; si tratta di un
immaginario che fa unicamente il gioco degli specialisti
dell'assistenzialismo carcerario, dell'associazionismo di settore e
degli imprenditori della politica, e che fa il paio con le campagne di
terrorismo mediatico lanciate da giornali come Repubblica e il
Messaggero contro i movimenti sociali.
Sì, la vita nelle carceri è inumana, ed è una vergogna a cui va posto rimedio con un'amnistia.
Ma tale amnistia sia anche un'amnistia sociale, perchè chiunque deve
avere la possibilità di portare avanti le sue lotte senza venire
annichilito dalla repressione.
Amnistia sociale subito!
di Thomas Müntzer
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