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sabato 9 novembre 2013

Crisi ambientale e conflitti nei territori

In vista del 16 novembre, quando dalla Val di Susa a Napoli le lotte per la difesa del territorio e contro la devastazione e speculazione ambientale scenderanno di nuovo in piazza, pubblichamo la relazione del workshop tenutosi a CommuniaFest 20-22 settembre



1. Crisi ambientale e crisi sociale

La crisi ambientale globale è un processo in atto e in rapida evoluzione verso scenari solo in parte valutabili,
attraverso l'uso di modelli matematici basati su eventi storici, data l’imprecisione dei modelli stessi e l’imprevedibilità sia di fattori endogeni al sistema ambiente (comportamenti dinamici delle grandi calotte di ghiaccio ai poli), sia esogeni ad esso (evoluzione degli scenari di sviluppo economico e sociale su scala mondiale).
La responsabilità principale della crisi ecologica in atto non può essere attribuita all’attività antropica in generale, ma al carattere specifico che essa ha assunto in questi ultimi secoli e quindi nel modo di produzione capitalistico (aumento profitti, tendenza all’accumulazione e concorrenza): si deve parlare di cambiamento climatico capitalistico (Tanuro).Il sistema capitalistico ha piegato l'evoluzione scientifica e tecnologica ai propri fini, che sono quelli della massimizzazione dei profitti, l'accumulazione di capitali e la concorrenza ai fini del profitto.
Sin dalla prima fase il capitalismo si è caratterizzato per l'appropriazione delle risorse finalizzata alla trasformazione in merce da destinare al consumo all'interno di un sistema di crescita esponenziale dei prodotti e quindi dei profitti.

L'utilizzo in questo contesto dei combustibili fossili (carbone, petrolio e metano) come fonte energetica principale rispondeva e risponde a fattori determinanti nella corsa al produttivismo esasperato:

• concentrazione delle risorse e dei siti di lavorazione;

• centralizzazione dei processi decisionali legati alla produzione e all’uso delle risorse naturali;

• realizzazione e controllo dei sistemi (reti) di distribuzione dell’energia e del trasporto delle merci;

• sistema basato sull'efficienza parziale (del singolo impianto, dei siti di estrazione/lavorazione concentrati) e non sull'efficienza energetica globale, a livello di filiera (maggiori profitti in un sistema di sostanziale oligopolio e cartelli di poche multinazionali: nel 2006 tra le prime 10 multinazionali per fatturato 9 erano legate al mondo del petrolio).

Parallelamente la corsa al profitto ha impedito di orientarsi nel solco dell'efficienza energetica dei processi e di sviluppare fonti energetiche rinnovabili disponibili potenzialmente già all'inizio del XX secolo, quale quella solare.
Dopo la prima fase di spinta alla produzione di beni di consumo, fase che ha avuto un'accelerazione fortissima nel secondo dopoguerra per circa un trentennio (“i trenta gloriosi”), si sono manifestati i limiti del sistema sia dal punto di vista dello sfruttamento della forza lavoro (progressivo smantellamento delle conquiste dei lavoratori a partire dalla fine degli anni settanta), sia dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse energetiche (crisi del petrolio della prima metà degli anni settanta).

I limiti insiti nella propria natura, la caduta dei profitti, la crisi di domanda hanno determinato un cambio di direzione del capitalismo, caratterizzato dallo spostamento delle fonti di profitto dalla produzione e circolazione di merci alla produzione e circolazione di denaro: dai primi anni ottanta il mercato finanziario ha affiancato il sistema di produzione e, quindi, in un contesto di liberalizzazione, deregolamentazione e mondializzazione progressive ha consentito la spartizione del plusvalore tra rendite finanziarie e profitto reinvestito nella produzione; ciò è accaduto anche nel settore delle risorse energetiche (tradizionali e nuove: speculazione su prezzi petrolio, eco-incentivi alle fonti rinnovabili su scala mondiale) e delle risorse agro-alimentari (sul grano, sull’acqua) e sui settori interconnessi con l’energia (bio-combustibili, agrobusiness in generale).

Questa fase è caratterizzata dal peggioramento delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori e dallo sfruttamento incontrollato delle risorse ambientali.
L'appropriazione attraverso i processi di privatizzazione dell'ambiente, delle risorse energetiche, dei servizi pubblici e dei beni comuni rientra in questo disegno di auto-conservazione del capitalismo, anzi ne rappresenta la nuova frontiera e la base su cui si ricostituisce la geografia del potere globale: si pensi alle guerre in Iraq e in Libia, allo sfruttamento dei nuovi siti di petrolio in Canada, Venezuela e Brasile (petrolio da sabbie bituminose, il metano da rocce sedimentarie richiedono processi di estrazione più costosi e più impattanti sull'ambiente con conseguenze sui costi economici e ambientali di tali risorse), alle riserve di metano in Russia controllate da un oligarchia legata al potere politico, alla competizione sul terreno delle risorse energetiche tradizionali e del controllo politico in medio oriente tra Arabia Saudita e Qatar, all'appetito prodotto dalla disponibilità di enormi risorse naturali (energia, legname, acqua) del sud America e soprattutto al continente africano (ricco di risorse energetiche, minerali e agricole), che dopo decenni di colonialismo e post-colonialismo si trova nel mirino della più grande potenza economica mondiale, la Cina, non più solo come territorio al quale sottrarre risorse in cambio di infrastrutture e finanziamenti orientati a favorire i processi di usurpazione, ma anche come colonia manifatturiera nella quale spostare le produzioni a basso costo.

Si evidenzia un forte legame tra la crisi economica e il crescente sfruttamento delle risorse naturali sottoforma di:

- appropriazione delle limitate fonti energetiche presenti nel sottosuolo;

- riconversione dell'agricoltura per la produzione di biocombustibili e biomasse, nella privatizzazione dei beni comuni (un esempio su tutti: l'acqua);

- produzione di rifiuti indirizzata verso il binomio rifiuti-energia e una nuova industria molto redditizia in un quadro disegnato per utilizzare le aree povere del Mondo sottosviluppate come discariche;

- urbanizzazione spinta finalizzata alla speculazione;

- asservimento della ricerca scientifica da sempre orientata dagli obiettivi del capitalismo e la privatizzazione totale della scuola e della cultura.


 

2. In cosa consiste e chi colpisce la crisi ambientale?

Gli aspetti principali della crisi ambientale sono: cambiamento climatico (riscaldamento, effetto serra), deforestazione, buco dell'ozono, crisi alimentare, scarsità risorse idriche.

Al principale di tali elementi, cambiamento climatico, si legano altri fenomeni: scioglimento dei ghiacciai, desertificazione, siccità, emergenze climatiche (inondazioni, uragani, tsunami). L'ultimo studio da parte di ricercatori, non “sovversivi”, indica nel 50% la quota parte di eventi climatici con conseguenze disastrose per l'uomo da attribuire al comportamento dell'uomo stesso.

Il riscaldamento climatico è prodotto dall'aumento di gas serra (in particolare CO2 prodotta principalmente dai processi di combustione dei combustibili fossili) riversati nell'atmosfera in quantità e in tempi, che gli scambi idro-bio-atmosfera non riescono più a mantenere a livelli di “equilibrio” pre-rivoluzione industriale.

Gli effetti del cambiamento climatico si traducono già oggi in un aumento della temperatura media del pianeta di circa 0,7°C rispetto all'epoca pre-industriale; se si mantengono i livelli di crescita attuali di gas serra lo scenario migliore prevede per fine secolo un aumento di 2-2,5°C (concentrazione di CO2 a 400 ppm: già oggi è a 385 ppm, +30% rispetto a due secoli fa, e la velocità di aumento è pari a 2 ppm/anno).

Questo aumento potrebbe provocare (dati forniti nei rapporti dell’IPCC: gruppo di esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima – ONU, che dal 2007 analizza i dati storici e sviluppa modelli matematici, per la delineare previsioni e scenari possibili): innalzamento del livello dei mari di circa 1-1,5 m, inondazioni delle zone costiere (coinvolte 150 milioni persone), siccità, desertificazione (il deserto del Sahara avanza già oggi di 10 km/anno, ma sono coinvolte anche zone temperate come la Spagna), aumento carestie (coinvolte 600 mln persone), carenza acqua (oggi 1/5 della popolazione mondiale non ha accesso all'acqua potabile, circa il doppio non dispone di servizi fognari; nel 2050 saranno coinvolte 3 MLD persone). Previsioni e stime comunque incerte e soggette a variazioni in negativo in funzione dell'evoluzione dei fattori sociali.

La maggior parte delle persone colpite dai disastri naturali prodotti dal cambiamento climatico risiede nei paesi poveri e, nello stesso paese, sono colpiti i soggetti più deboli (donne: l’80% degli 1,3 MLD di persone sotto la soglia di povertà è costituita da donne).

Forse è anche per questo che in molti casi le donne hanno mostrato una sensibilità maggiore e una capacità di mobilitazione più radicale rispetto alle questioni ambientali e sociali: la prima occupazione organizzata in America latina nel Cile del 1957 per il diritto alla casa – barriadas populares - vide un ruolo fondamentale esercitato dalle donne.

Le fasce più deboli sono quelle che pagano e pagheranno anche nei paesi ricchi: vedi esempio ciclone Katrina in Lousiana nel 2005: la popolazione delle zone colpite maggiormente è per il 75% nera.


3. Responsabilità e debito ecologico

Valutazioni tecniche basate sui settori industriali a maggiore impatto (siderurgico, petrolifero, del cemento) stabiliscono una responsabilità pari a circa il 70% imputabile ai paesi sviluppati (USA, Europa e Giappone).

Chi deve farsi carico pertanto del necessario cambiamento sono questi paesi, pur essendo chiaro che anche i nuovi protagonisti della scena economica mondiale (in primis Cina, India e Brasile: la Cina produce più gas serra degli USA ma la produzione pro-capite è circa 1/5 e in questa rientra gran parte della produzione destinata alle esportazioni) devono deviare dal modello di sviluppo che hanno adottato negli ultimi decenni.

Esiste un deficit ecologico a carico dei paesi a più alto sfruttamento di risorse naturali (impronta ecologica elevata) e delle elite economiche di questi paesi, che negli anni ha contribuito e contribuisce a produrre un debito ecologico non più sostenibile in termini sociali e ambientali.

Il contributo dei paesi sviluppati deve essere pertanto ancora più drastico nel ripagare il debito prodotto; per contenere l'aumento di temperatura entro i 2°C a fine secolo questi paesi devono ridurre proprie emissioni climalteranti di circa il 95% al 2050, rispetto al dato del 1990; questo obiettivo richiede che già al 2020 la riduzione sia almeno del 40%.

Anche i paesi in via di sviluppo devono contribuire deviando dal consumo presunto al 2050 (in funzione dei tassi di crescita presunti) di circa il 30% in meno.

Senza quest’ultimo contributo, infatti, la stabilizzazione avverrebbe al massimo attorno a 650 ppm e in termini di aumento della temperatura attorno a 3-4°C.

L’obiettivo è commisurato alla gravità della situazione e richiede la messa in discussione dell’intero sistema produttivo (e di trasporto e di consumo).

Il problema centrale è sostituire i combustibili fossili con l'unica alternativa possibile: efficienza energetica e fonti rinnovabili, in particolare l'energia solare. Il flusso solare attualmente è pari a 6000 volte l'energia primaria consumata a livello globale.


4. La proposta necessaria per una soluzione della crisi ambientale e sociale

Di fronte a questi scenari drammatici è necessario iniziare a elaborare un sistema di idee e pratiche in grado di invertire da subito la rotta.

Diverse elaborazioni provano a formulare soluzioni della crisi ambientale globale in atto. Alcune di queste proposte mettono al centro l'innovazione tecnologica e le nuove risorse energetiche attraverso le quali innescare un processo virtuoso in termini di sostenibilità ecologica del sistema; secondo queste teorie è sufficiente la diffusione della pratica di autoproduzione energetica resa possibile dalle rinnovabili per avere una profonda democratizzazione della società, senza spiegare come arrestare centralizzazione e concentrazione, la concorrenza vorace, lo sfruttamento dei combustibili fossili (la terza rivoluzione industriale, Jeremy Rifkin); altre trovano nel ritorno all'epoca pre-industriale e a una vita agreste, essenziale e fondata sul consumo di ciò che si auto-produce, la soluzione di tutti i problemi; in realtà la soluzione prospettata si disinteressa completamente dell'elemento di equità sociale e prospetta una proiezione della stratificazione della ricchezza attuale in chiave agreste e pre-industriale, per cui chi possiede una proprietà agricola può tranquillamente autoprodursi, o farsi produrre in un contesto lavorativo di sfruttamento, yogurt e altri prodotti per l'auto-sufficienza (la decrescita felice, Latouche e Pallante).

Diciamo da subito che non si può cambiare il mondo attraverso scelte e azioni individuali sul modo di vivere e consumare; solo i comportamenti collettivi sono in grado di incidere sulla realtà e di rivoltarla attraverso la condivisione di analisi, obiettivi, progetti e strumenti, che non escludano la presenza di divergenze tra chi partecipa né tantomeno conflitti con i difensori dell'ordine esistente.

I processi di trasformazione avvengono però anche sottotraccia, in modo capillare e radicato. L'obiettivo necessario riguarda la capacità di sostenere e aggregare soggetti in movimento, muovere coscienze, elaborare e condividere esperienze e saperi: una grande mobilitazione dal basso, coinvolgendo intere comunità, i saperi diffusi e le esperienze già in essere.

La risposta è nella creazione di un complesso di relazioni diverse tra uomo e ambiente e anche nella sfera delle relazioni tra uomini.

La conversione ecologica sta nella sostanziale trasformazione materiale delle strutture sociali e produttive, indirizzate a un minore uso di risorse naturali, a una maggiore efficienza e a una maggiore equità sociale (sia tra paesi del nord e del sud, che all'interno degli stessi paesi): crisi ambientale e crisi sociale sono strettamente legate tra loro e la soluzione della seconda deve necessariamente passare attraverso la soluzione della prima.

L'unica risposta possibile è quella di contrapporre al sistema un'alternativa praticabile, che tenga conto dei settori fondamentali: energetico, agro-alimentare, mobilità, consumo del suolo, rifiuti.

È necessario favorire l’incontro tra saperi sociali e saperi di carattere tecnico, tra comitati (che si formano attorno a specifiche lotte), tecnici-ricercatori-studenti (portatori di conoscenze), gruppi e associazioni locali (portatrici di relazioni anche con le amministrazioni o parti di esse) e lavoratori/trici (protagonisti della parte produttiva, sebbene non sempre connessa in modo diretto con le esigenze del territorio). Questo incontro non avviene secondo regole e procedure pre-definite o riproducibili in maniera meccanica da un territorio all’altro, ma attraverso un processo in continua evoluzione basato sullo scambio, il confronto, l’approfondimento, il conflitto e la sintesi delle esigenze di ciascuno.

I grandi cambiamenti in corso prodotti dall’effetto congiunto di crisi sociale ed ecologica offrono un grande spazio di intervento nella direzione di una alternativa praticabile, nella consapevolezza che le cause delle crisi non possono rappresentarne anche la soluzione.

Questa alternativa non è scritta, va costruita partendo da esperienze già in essere, magari in forma embrionale, ma in grado di rappresentare con forza viva la potenzialità del cambiamento.

Per rafforzare e ampliare la capacità di intervento dei movimenti territoriali occorre sperimentare nuove relazioni sociali, basate sulla partecipazione diffusa al controllo e alla gestione delle risorse e dei beni comuni del territorio.

A questo proposito è opportuno chiarire che non si tratta di processi che rivendicano il ritorno al controllo delle risorse naturali e dei beni comuni da parte dello stato, come lo abbiamo conosciuto e continuiamo a conoscerlo. Si tratta di processi di ri-pubblicizzazione o, meglio, ri-socializzazione che pensiamo fondamentali per contrastare la voracità delle privatizzazioni e nello stesso tempo per pensare a una forma alternativa di auto-governo dei territori e delle proprie risorse.

Lo spazio in cui muoversi e agire non è uno spazio statico, ma il frutto di un contenzioso permanente fatto di conflitti, lotte e anche organizzazione e progettualità in cui la partecipazione democratica della collettività è requisito fondamentale. Uno degli aspetti più difficili e comunque di fondamentale importanza è il rapporto con i lavoratori/trici, in particolare quelli/e appartenenti alle produzioni tradizionali a maggior impatto ambientale: dal settore energetico al settore agro-alimentare, dal settore immobiliare al settore dei trasporti (l'automobile), dal settore militare a tutto l’apparato produttivo dell’industria pesante (il caso Ilva a Taranto è emblematico). Si tratta di lavoratori/trici già colpiti/e pesantemente dalla crisi in termini di diritti, reddito e servizi, ogni giorno sottoposti a ricatti e indotti a una concorrenza sfrenata e a combattere una guerra tra poveri. Progettare e costruire quindi una proposta alternativa, da sottoporre quotidianamente a verifica, da plasmare a partire dalle esigenze socialmente determinate dalla collettività, rappresentano l’unico modo per coinvolgere anche i soggetti produttivi. Nella costruzione di una proposta credibile, che richiede tempi lunghi tra accelerazioni e frenate improvvise, è necessario comunque agire in modo urgente per confrontarsi e difendersi dalla crisi sociale e ambientale: forme alternative di reddito, mutuo soccorso, mercati di prossimità, sovranità alimentare, auto-costruzione di abitazioni e spazi collettivi, orti urbani, auto-produzione di energia e in generale il controllo e la gestione delle risorse e dei beni presenti nel territorio rappresentano il nucleo di forme embrionali di autogoverno.

E’ fondamentale che tutti i soggetti, che conducono una lotta e immaginano una nuova società, nuove relazioni, sviluppino un senso comune in grado di generare, animare e regolare nuove forme di vita, nuove proposte politiche di una contro-società e di un contro-potere, dentro un processo dinamico in cui cosa, dove, come e per chi produrre possano essere condivise.


5. La risposte degli stati e delle classi dominanti alla crisi ambientale

Le iniziative dei governi e delle strutture dominanti per rispondere alla crisi economica e alla crisi ambientale si collocano essenzialmente su due livelli complementari. Da una parte la mano morbida e sensibile del buon padre di famiglia, che garantisce il controllo della crisi proponendo soluzioni di uscita illusorie e ingannevoli, create per disciplinare e ri-orientare qualsiasi forma e tentativo di conflittualità, che devii dal solco tracciato.

Sul piano ambientale rientrano in queste misure il sostegno economico alle fonti rinnovabili, che in realtà riversa miliardi di incentivi prelevati dalle bollette a favore di pochi grandi gruppi economico-finanziari (in Italia 80% di circa 13 MLD €/anno); il mercato globale delle emissioni, con la privatizzazione e finanziarizzazione dell'aria e della salute; il sostegno a finte soluzioni rinnovabili , in realtà potenzialmente dannose e nocive se utilizzate su larga scala e per grandi impianti (biomasse, idroelettrico); il ricorso a colture intensive di bio-combustibili, spacciati come alternativa pulita ai carburanti fossili; ma anche la propaganda su alcune grandi opere (la TAV) che rappresenterebbero risposte concrete al trasporto su gomma. In una parola la GREEN-ECONOMY, per come teorizzata e applicata dal sistema dominante. Oltre ai soggetti istituzionali sono coinvolti in questo processo di economia green molte aziende, grandi gruppi, multinazionali che costruiscono o ri-costruiscono il proprio brand di riconoscimento sulla sostenibilità ecologica, sulla sensibilità green, dei prodotti e dei processi: la multinazionale del mobile Ikea, ma anche nuove iniziative nel settore agro-alimentare come “eataly” e per certi versi “slow-food”, il settore immobiliare con le proposte di social-housing, in cambio di nuove colate di cemento offerte dalle amministrazioni locali (modello EXPO).

Dall’altra il pugno duro dello Stato-padrone che agisce attraverso la militarizzazione dei territori, la repressione di ogni forma di conflitto, l’innalzamento del livello di guardia sul piano dell’ordine pubblico, la propaganda per screditare l’azione dei movimenti di fronte all’opinione pubblica.

La repressione in ValdiSusa, gli sgomberi degli spazi liberati, forze dell’ordine schierate contro comitati no-OGM, la militarizzazione delle periferie povere delle grandi aree urbane.

Un modello interessante in tal senso è quello dell'America latina, dove da circa 15 anni si sono affermati governi progressisti e di sinistra favoriti dalle lotte dei movimenti dal basso, cresciuti e consolidati dentro i precedenti decenni di dittature; in questi paesi le nuove forme di controllo per affrontare la sfida delle società in movimento si appoggiano ai fenomeni sociali esistenti, cercando non di impedirli ma, al contrario, mettendo in campo regole e meccanismi tali da esaurire i fenomeni stessi.

Proprio i rapporti tra movimenti e governi “amici” in America Latina raccontano la complessità, le difficoltà nella costruzione di nuove relazioni sociali, senza far dipendere tale legame dai vincoli con gli stati e gli apparati costituiti, ponendo al centro il problema della emancipazione.
La resistenza dei movimenti popolari al modello neo-liberista ha reso possibile l'ascesa di una nuova classe dirigente, in alcuni casi già dotata di esperienza politica di gestione di municipi e regioni (Brasile, Cile e Uruguay), in altri casi emersa in un contesto di profonda crisi politica e istituzionale del dominio neo-liberista (Venezuela, Ecuador e Bolivia), e l'Argentina in mezzo ai due casi. Gli stessi gruppi dirigenti, una volta preso il potere, hanno cercato di soffocare la spinta liberatrice dei movimenti, alleandosi con essi, coinvolgendo in attività predisposte dalle autorità istituzionali attivisti dei movimenti determinando il controllo dei medesimi. Ovviamente con esiti diversi in funzione della preparazione dei movimenti ad affrontare in modo autonomo questo tipo di corteggiamento.

E' accaduto in Argentina dove parte del movimento dei piquetero è stata cooptata dallo stato attraverso progetti sociali e la designazione di attivisti per vari incarichi di governo; è accaduto in Brasile dove il movimento Sem Terra (MST), tra i più importanti movimenti popolari del sud America, ha sostenuto Lula spingendo per una profonda riforma agraria, poi ha rafforzato la lotta a causa della mancata riforma e dell'appoggio aperto del governo all'agrobusiness, pur continuando a ricevere consistenti fondi statali per accampamenti ed educazione. Anche in Venezuela Chavez ha cercato di disciplinare i settori popolari, sebbene questi abbiano mostrato ancora forti elementi di autonomia; in Bolivia la minaccia del ritorno della destra è stata usata invece per sedare i movimenti sociali. Uno degli strumenti utilizzati per disinnescare la dinamicità della società in movimento, oltre alla cooptazione già descritta nel caso argentino, è quello dei grossi piani sociali contro la povertà, in cui lo stato restaura una specie di “clientelismo” senza determinare scostamenti dalla crescente concentrazione di ricchezza; in questo modo scompaiono dal dibattito quotidiano i grandi problemi comuni a favore della frammentazione delle relazioni. Quelle descritte possono essere definite forme di controllo a distanza, più sottili, attraverso una programmazione razionale delle pratiche proprie dei movimenti, per promuovere cause giuste, quali ad esempio i diritti umani e la violenza domestica. Nuove forme di governabilità che producono confusione e ambiguità e quindi l'annullamento delle società in movimento (ruolo fondamentale delle ONG).

I governi di sinistra hanno occupato spazi di rendita nell'apparato statale, hanno fatto propria la politica della destra e hanno determinato in parte la disaggregazione dei movimenti, riaffermando a vari livelli le logiche neo-liberiste affiancate però da politiche di lotta alla povertà.

Non esiste una regola unica di comportamento rispetto alla relazione da assumere con i governi nazionali e locali: chi sostiene che si può approfittare di tutti gli spazi, anche istituzionali, per rafforzare il progetto di alternativa (MST) oppure chi sostiene che non deve esserci alcuna relazione con lo stato e le sue istituzioni (EZLN). Pur essendo verosimile che la partecipazione nelle strutture pubbliche debiliti i movimenti non si possono escludere rapporti del tutto strumentali, di scopo, tra i movimenti e le istituzioni. Ovviamente non in subordine a queste, ma in grado di produrre relazioni esterne aperte, tali da orientare verso nuove forme di auto-governo.

La lezione utile trasmessa da buona parte della società in movimento latino-americana consiste proprio nel mantenere un alto livello di conflittualità, nel proteggere gli spazi e i territori conquistati, creare una propria progettualità, rivendicare la propria autonomia riaffermando che questa autonomia e la politica dal basso non si costruiscono dall'alto e che, al contrario, esse costituiscono elementi di forza per condizionare l'azione dei governi e delle strutture dominanti.

In altri contesti laddove sono presenti regimi autoritari le forme di rivolta assumono connotati diversi; ad esempio oggi le mobilitazioni ambientali dei cittadini cinesi molto diffuse, seppur meno note, si configurano come lotte sostanzialmente di resistenza per il diritto alla salute o, addirittura, per la sopravvivenza senza riuscire a costruire relazioni sociali più generali e a connettersi con altri settori in lotta; questo anche a causa del carattere autoritario degli apparati di governo, pronti a reprimere con la forza e la violenza ogni nuova forma di relazione sociale, che si ponga fuori dai paletti istituzionali.



6. Dove e come cominciare: le territorialità

Uscire dalla crisi ambientale presuppone un profondo cambiamento dei modelli del sistema produttivo, di scambio e di consumo. Significa sostituire le economie fondate su grandi centri di estrazione e lavorazione delle risorse naturali (energetiche in primis), su grandi centri di produzione e di distribuzione della materia, su grandi gruppi di controllo economico e finanziario, cioè un sistema basato sulla concentrazione delle risorse e sulla centralizzazione dei processi decisionali, con un sistema basato sul decentramento, la differenziazione, la diffusione, l'integrazione tra produzione di beni-servizi e mercati di consumo, attraverso meccanismi decisionali e di controllo basati sulla partecipazione attiva della comunità. Questo processo democratico si costruisce in un rapporto conflittuale con le forme tradizionali della rappresentanza istituzionale e mettendo in discussione logica e tipologia dei beni e dei servizi prodotti verso un sistema di relazioni sociali nuove e alternative al sistema esistente.

Gli spazi nei quali si possono affermare queste nuove relazioni sono le nuove territorialità; dalle territorialità può avviarsi un processo che è sia di resistenza ai livelli sovraordinati di dominio, che di creazione di un nuovo vincolo sociale. Le territorialità non sono solo spazi fisici, geografici ma sono costituiti da un complesso di esigenze materiali, specificità sociali, culturali, ambientali e politiche a partire dalle quali i movimenti nel pieno della crisi sociale e ambientale prendono in mano la quotidianità delle persone che compongono la comunità; senza soluzioni pre-definite ma da consolidare attraverso l'esperienza e la sperimentazione.

La sperimentazione condotta dalla comunità di un territorio può toccare uno o più settori in base alle esigenze che si danno in quel dato contesto sociale; da questa fase iniziale deve poi partire una esplorazione più ampia, in quanto il sistema di relazioni che costituirà il mondo nuovo non può prescindere dall'articolazione delle relazioni sociali che si affermano in ciascun territorio. Questa articolazione non significa però unificazione e formazione di livelli superiori di coordinamento e apparati che vivono di vita propria, ma necessità di difendere e potenziare gli spazi creati, attraverso la circolazione di esperienze, informazioni, analisi, modalità del conflitto nel rispetto dell'autonomia di ciascun soggetto coinvolto.

Il carattere locale delle iniziative da mettere in atto, l'agire localmente, deve collocarsi dentro un percorso collettivo globale, il pensare globalmente, in modo da conferire alle spinte territoriali la forza politica necessaria per rispondere alla globalizzazione economica e finanziaria liberista, attraverso la costruzione di pratiche e obiettivi comuni.



7. Una traccia di percorso

Esistono nei territori molti comitati, che si formano attorno a questioni ambientali specifiche; questi comitati riescono a raggiungere livelli di conflittualità anche alti e in ogni caso favoriscono relazioni all’interno della comunità basate su partecipazione attiva, contro-informazione, uso di strumenti previsti dai regolamenti locali e nazionali, ma anche forme di lotta che si pongono fuori da questi paletti. Nascono quindi nuove relazioni sociali che tendenzialmente si pongono ai margini di quelle convenzionali. Queste relazioni coinvolgono i militanti attivi dei comitati e in qualche modo si propongono di contagiare anche il resto della comunità. La presenza di questi comitati può raggiungere un peso notevole e condizionare sensibilmente i processi di realizzazione delle opere nocive contro le quali si battono. In ogni caso sia che l'obiettivo specifico venga raggiunto, sia invece che le istituzioni riescano a imporsi, la forza d'urto del vapore sprigionato da questi comitati territoriali quasi sempre è destinata a disperdersi anziché condensare in consapevolezza e capacità di articolare il conflitto a un livello più generale.

Si formano reti di comitati che operano nello stesso settore e contro opere affini: esiste il coordinamento terre nostre no biomasse no biogas, esistono reti di comitati contro gli inceneritori o contro le discariche, esiste la rete dei GAS. Queste forme di coordinamento sono utili per scambiare informazioni, capacità di analisi, potenziare conquiste ed elaborare nuove forme di conflittualità; non sempre però consentono di far compiere quel salto necessario nella direzione di una estensione non solo geografica ma anche e soprattutto tematica e di prospettiva generale.

Esistono alcune parziali eccezioni: il forum dei movimenti dell’acqua ha provato a compiere il salto allargando la lotta specifica di difesa delle risorse idriche a una lotta per la democrazia partecipativa e anche per una nuova finanza pubblica e socialmente orientata. Anche in questo caso però mentre l’impeto del moto di resistenza contro la minaccia della privatizzazione è stato alto, altrettanto non è accaduto nel momento di costruire un percorso concreto di gestione e controllo fuori dalle regole del mercato. Le ragioni sono numerose e complesse: rapporti di forza, tentativo di appropriarsi strumentalmente della vittoria referendaria da parte delle istituzioni, disponibilità di parte del movimento di ricondurre la battaglia dentro i confini istituzionali. Resta il tentativo positivo e un senso comune di possibile rottura rispetto al leit motiv del “non c'è alternativa”.

Occorre un impegno forte per non dissipare il vapore. I coordinamenti sono necessari ma non sono sufficienti se si limitano all’allargamento soltanto spaziale di tematiche specifiche o se, come abbiamo visto, si riducono a un livello superiore con una vita propria.

Nuove reti devono costruirsi all’interno delle stesse territorialità e tra territorialità diverse attraverso esperienze concrete, accumunate da una tensione comune verso il cambiamento, verso una società altra. Queste esperienze di lotta sociale rappresentano tendenze, ricerche e obiettivi che non hanno bisogno di strutturazione-centralizzazione ma di una articolazione in grado di intensificare e approfondire le esperienze. E' fondamentale favorire la circolazione e creare spazi di scambio e reciproca conoscenza delle nuove relazioni sociali che si auto-generano in determinati contesti e in determinate forme: favorire il contatto tra le esperienze di auto-gestione di spazi produttivi e gruppi di tecnici-ricercatori, che propongono nuove forme di auto-produzione diffusa di energia, realmente rinnovabile; tra questi stessi gruppi e chi lotta per il diritto all'abitare e per il recupero di spazi fisici per la comunità, da mettere in sicurezza e riqualificare energeticamente; tra chi lotta per il diritto all'abitare, perché non ha un reddito, e chi si impegna nel settore alimentare per una agricoltura di prossimità e che sviluppi forme di scambio fuori mercato; tra chi lotta per la sovranità alimentare e chi si batte per la produzione di fertilizzante naturale dalla stabilizzazione di rifiuti organici; tra chi costruisce forme nuove di produzione agricola, contro le logiche di produzione intensiva e imposti dai monopoli delle multinazionali, e il movimento per una nuova finanza pubblica e sociale che dia supporto, attraverso CDP, a queste nuove esperienze di produzione alimentare; tra il movimento per una nuova finanza sociale, che si batte per il non pagamento del debito illegittimo e odioso (audit) e le fabbriche auto-gestite dai lavoratori/trici per sostenere la conversione ecologica della produzione, della distribuzione e del consumo Questi sono solo esempi; le combinazioni, le possibilità e le modalità di connessione sono molteplici e variano in base ai bisogni materiali che si determinano in una comunità; nello stesso tempo esse costituiscono parte di quel processo di politicizzazione in grado di creare nuove relazioni sociali alternative alle relazioni dominanti del capitalismo.

Communia-net dovrebbe favorire la circolazione delle esperienze di conflitto e la conoscenza tra territorialità, seguendole nel proprio sviluppo dinamico, evidenziandone relazioni tematiche e nessi, proponendo analisi e verifica delle iniziative concrete e conflittuali, al fine di costruire una rete che non sia la somma di esperienze ma l’elaborazione necessaria per proteggere, intensificare e moltiplicare le esperienze.


8. Spazi ed esperienze vive:

Il recupero di spazi produttivi da ri-collocare nel solco della condivisione sociale e della conversione ambientale può far riferimento a pratiche già sperimentate in Italia e nel mondo in ambiti diversi e con diversi livelli di consapevolezza e conflittualità, ma in ogni caso interessanti come tendenze da approfondire:
- forme di auto-gestione da parte dei lavoratori (Ri-Maflow, fabbriche argentine);

- autoproduzione di energia, nella direzione di un sistema diffuso e differenziato fondato sul giusto mix tra energie realmente rinnovabili e soprattutto efficienza energetica, in base alle esigenze specifiche di ciascun territorio (ReteEnergie, …..);

- produzione di prossimità dei prodotti agricoli nella direzione della sovranità alimentare attraverso forme di scambio fuori dalle logiche del mercato (GAS, Sem terra, progetti per la sovranità alimentare, gli orti autogestiti);

- recupero delle aree urbane e degli spazi destinati alla collettività, contro il consumo di suolo e territorio (comitati per il diritto all'abitare, NoEXPO, NoTAV);

- mobilità collettiva diffusa, da contrapporre ai modelli di mobilità individuale, automobile e di mobilità ad alto costo economico e ambientale (NoTAV, NoPM);

- nuova gestione dei rifiuti attraverso la riduzione, il riutilizzo, il riciclo e il riuso (NoDiscariche, NoInceneritori, NoBiomasse);

- un nuovo modello di finanza solidale per riappropriarsi delle risorse naturali e utilizzarle per finanziare le attività socialmente condivise (MAG, potenzialmente CDP);

- una nuova forma di partecipazione democratica dal basso, una nuova politica (forum movimenti per l'acqua pubblica, NoTAV, movimenti America latina).



RI-MAFLOW

L’idea si articola su più piani: a) solidarietà, uguaglianza e autorganizzazione tra tutti gli associati; b) conflittualità nei confronti di controparti pubbliche e private; c) inserimento e promozione di lotte generali per il lavoro, il reddito, i diritti. Il tentativo riguarda però anche la riconversione dell'attività da automotive in direzione del riuso e del riciclo di rifiuti elettrici ed elettronici e della distribuzione dei prodotti del Parco agricolo Sud Milano, nella logica del consumo critico e della filiera corta a chilometro zero, cioè in direzione ecologista.


FABBRICHE ARGENTINE

Nel 2001 un altissimo numero di fabbriche venne recuperato dai lavoratori e rimesso in produzione con criteri nuovi; le nuove fabbriche hanno tessuto solide relazioni con la comunità: laboratori culturali, radio comunitarie, presidi sanitari, mense per bambini, orti comunitari e panetterie, tali da creare reti di distribuzione ai margini del mercato, nuove relazioni sociali non capitaliste fra produttori e consumatori.



RETE ENERGIA

In Italia si è formata una cooperativa, che si pone l’obiettivo di creare un nuovo modello di gestione collettiva del bene comune ENERGIA. I suoi scopi sono la produzione di energia rinnovabile da impianti costruiti attraverso la partecipazione collettiva dei soci, il ricorso a forme di finanza etica (MAG), la vendita ai soci dell’energia prodotta e la fornitura di servizi ai soci quali analisi e riqualificazione energetica, gestione gruppi acquisto, cambio fornitore di energia.

Il processo di costruzione passa attraverso un percorso di democratizzazione energetica e i concetti chiave sono: finanza etica, consumare meno (non nel senso della decrescita fine a se stessa, ma attraverso efficienza energetica e attenzione a non consumare ciò che non è necessario), rispetto del suolo, impatto ambientale (il concetto del ciclo di vita del materiale, consumo del territorio, minimizzazione dell'uso di risorse idriche, filiera corta delle materie prime, contro l’utilizzo di colture no-food e di allevamenti intensivi nella produzione di energia); piccoli e medio-piccoli impianti; promozione del movimento cooperativo e del mutualismo; partecipazione delle persone; principio rotazione incarichi.



GAS

Le linee guida dell'azione della rete dei GAS sono riconducibili ad alcuni punti principali: l'obiettivo è quello di descrivere e divulgare l'idea dei "Gruppi di Acquisto Solidale" (G.A.S.).

- RISPETTO DELL'UOMO, i prodotti che si acquistano, non devono essere coinvolti nel circolo dell'ingiustizia, che caratterizza, salvo rare eccezioni, i prodotti delle imprese che comunemente si trovano sul mercato

- RISPETTO DELL'AMBIENTE, ovvero l'attenzione all'impatto sulla natura che la produzione ed il consumo può avere a seconda del grado di rispetto riservato all'ambiente.

- LE CONDIZIONI DI LAVORO, l'economia mondiale, nell'era della globalizzazione, sta portando ad una corsa verso il fondo nelle condizioni di lavoro: le multinazionali spostano la loro produzione dove i costi sono più bassi, ovvero dove la manodopera è pagata meno ed i diritti dei lavoratori sono meno rispettati.
L'unico modo per uscire da questa corsa che danneggia tutti è richiedere un livello minimo accettabile nelle condizioni di lavoro, che venga rispettato in qualsiasi parte del mondo.

- RETE DI SCAMBIO DI PROSSIMITA', Ciò consente di evitare l'intermediazione della multinazionale in modo da realizzare un vantaggio economico, equo sia per il produttore che per il consumatore. Il risultato finale e' inoltre quello di favorire la nascita e la crescita di piccole aziende e cooperative di lavoro con maggiore attenzione a quelle sociali. Lo scambio attivo di idee ed informazioni tra consumatori del GAS e produttori e' un aspetto di ulteriore interesse, che può portare a risultati innovativi. Per esemplificare, nel settore alimentare il consumatore può stimolare la produzione di prodotti biologici, garantendone il successivo acquisto.



SEM TERRA

Il movimento dei contadini senza terra del Brasile ha conquistato in circa 30 anni oltre 22 mln di ettari e da quelle terre, distribuite in circa 5000 insediamenti continuano a lottare per la riforma agraria in conflitto con il potere statale. Il movimento inizialmente sostenitore di Lula è rientrato nel solco della conflittualità in seguito alla mancata riforma agraria e al sostegno incondizionato all'agrobusiness e alle logiche neo-liberiste delle multinazionali.



ORTI COLLETTIVI

Nel culmine della crisi economica e sociale del 2002 nelle periferie di Montevideo sorsero in modo spontaneo orti familiari e collettivi dove lavoravano migliaia di cittadini poveri colpiti dalla disoccupazione. Di fronte a un tasso di disoccupazione di circa il 20% (80% dei settori popolari senza impiego stabile), gli orti contribuirono ad affrontare la crisi alimentare e per questo anche dopo il superamento della crisi gran parte degli orti restarono attivi come assi di aggregazione tra collettivi di quartiere, in conflitto con partiti, sindacati e municipio. Punto di forza fu anche la costruzione di un coordinamento mobile in rete.
In Italia stanno fiorendo in forme diverse: concessioni dei comuni, privati e altre forme; sempre più coinvolgono le giovani generazioni (sotto i 40 anni).



COOPERATIVE AGRICOLE CHE ADERISCONO ALLA DICHIARAZIONE DI NYELENI 2011

Da Nyeleni Europe 2011: Forum Europeo per la Sovranità Alimentare Krems, Austria, 21 Agosto 2011:

“Proprio in questo momento, i cittadini di tutta Europa stanno sperimentando le prime politiche di aggiustamento strutturale che i governi stanno imponendo alle loro popolazioni, quelle politiche fino ad ora prescritte a popolazioni di altre regioni, in particolare del Sud del mondo. Questo con il solo interesse di salvare il capitalismo e coloro che ne traggono profitto (banche private, gruppi di investimento e multinazionali). Vi sono molti segnali a indicare che nel futuro prossimo queste politiche antisociali diventeranno ancora più severe e più estese. Sono al contempo anche iniziate le prime mobilitazioni generali per denunciare i sistemi economici e di governance che ci hanno portato a questo punto. Noi offriamo – creativamente e energicamente – la risposta e l’opposizione dei movimenti sociali europei al modello di agricoltura globale che è il riflesso esatto del sistema capitalista che lo ha creato.



COMITATI PER IL DIRITTO ALL'ABITARE

I pobladores nel Cile (Santiago) del 1957: occupazione di spazi basata sull'autorganizzazione, l'autocostruzione, che determina una frattura radicale con le istituzioni, con le quali le relazioni sono solo strumentali, o le Barriadas popolares in Perù (Lima) dove la comunità urbana costruisce spazi pubblici grazie alla cooperazione e dove la città si spacca in due: quella ufficiale e quella alternativa.

In Italia: il Coordinamento Cittadino di lotta per la casa è il primo movimento autorganizzato sul diritto alla casa che nasce a Roma: Nel 1988 in centinaia occupano le case di San Basilio, quartiere estremamente degradato alla periferia nord est della capitale: 350 alloggi di edilizia residenziale pubblica, già terminati senza che vi sia alcuna graduatoria di assegnazione. Alla lista di lotta si uniscono centinaia di senza casa e, accanto a settori operai e marginali della periferia, si ritrovano anche le nuove generazioni del quartiere, in cui è ancora viva la memoria delle lotte degli anni ’70. La battaglia continua fino ai giorni nostri.


NoEXPO

Dal dossier prodotto su EXPO 2015: “Expo come mega-evento, come nuove articolazioni geografiche dell'edizione, come brand. La piastra dell’area Expo verrà realizzata cementificando aree agricole a poche centinaia di metri dalla più grande fiera d’Europa e solo alcuni padiglioni della stessa saranno affittati per l’occasione.

Non esiste Expo senza diffusione sul territorio: è in questo quadro desolante che le amministrazioni coinvolte lavorano per coinvolgere associazioni e cittadinanza attiva (tagliate fuori da un expo a misura di grandi operatori della green economy) in vista di un fuori expo diffuso, partecipativo, sostenibile.
Un’operazione subdola e rischiosa.

Si lavora nello spazio contaminando il territorio con i simboli, gli slogan, l'esercizio di un'attenzione continua all'evento come catalizzatore degli sforzi congiunti di una popolazione metropolitana.

Il brand per rilanciare l'immagine della città di Milano, del suo territorio, delle sue funzioni produttive e improduttive, nel mondo. Tanto più la dimensione materiale e locale di Expo2015 appare debole, quanto più dobbiamo cercare altrove
per comprenderne la portata ed il “significato nuovo” nel nostro tempo. Il brand è quindi tanto rilevante, nell'economia dell'edizione milanese, quanto scollegato dal tema portante e dal luogo dell'evento. Expo diverrà l'architrave per giustificare il primato “dell'intervento sul” territorio geografico, rispetto alla “progettazione nel” territorio vivo”.



NoMUOS

L'obiettivo del movimento è la revoca delle autorizzazioni all'installazione e alla messa in funzione del M.U.O.S.
Il M.U.O.S. sarà istallato nella base militare americana NRTF-8 (Naval Radio Trasmitter Facility) di Niscemi., dove sono operative dal 1991 41 antenne in banda HF e una in banda LF, il cui scopo è la trasmissione con i sommergibili militari. Da studi basati sui pochi dati raccolti dall'ARPA Sicilia, è scientificamente fondato il timore che l'istallazione attuale superi già i limiti di legge imposti sulle emissioni elettromagnetiche.
Il Movimento No M.U.O.S è attivo su diversi fronti: salvaguardia dell'ecosistema della Sughereta di Niscemi, attenzione alla salute dei siciliani, in particolar modo di coloro che vivono in prossimità degli impianti, monitoraggio indipendente delle radiazioni, campagne di informazione ai concittadini e di raccolta firme per petizioni ai vari livelli istituzionali, dialogo con le istituzioni sensibili al problema.
Il comitato ha dato luogo a forme di lotta attraverso blocchi e presidi, basati sulla solidarietà e l’impegno di soggetti della comunità che hanno costruito relazioni sociali nuove attorno a un obiettivo comune.



MAG

Una MAG (Mutua di autogestione) è una società che si basa sul rapporto fiduciario con i soci e le realtà finanziate. Si occupa di raccogliere il denaro dei soci sotto forma di capitale sociale e prestito sociale per finanziare iniziative economiche autogestite offrendo opportunità di finanziamenti etici e solidali e, allo stesso tempo, erogando prestiti con tassi d'interesse a condizioni di rientro vantaggiose. Una volta rientrati, i fondi vengono subito riutilizzati per nuovi finanziamenti o progetti. All'interno di una MAG, il Consiglio di Amministrazione viene eletto nelle assemblee dei soci; ogni socio ha diritto al voto e può partecipare alle periodiche assemblee ed alle riunioni del consiglio. In questo modo si garantiscono democrazia interna e trasparenza. Esiste infine il cosiddetto “Coordinamento MAGico” attraverso il quale le cooperative si mantengono in contatto, si scambiano opinioni e collaborano fra loro. Il coordinamento delle MAG italiane, MAGico, nel 2010 a Torino ha approvato Il Manifesto della finanza mutualistica e solidale, il cui art. 1 riporta: “”Accesso al credito senza discriminazioni basate su patrimonio, sesso, etnia o religione sostegno della funzione sociale delle attività finanziate e del benessere della comunità. Esclusione di ogni tipo di prestito nei confronti di quelle attività economiche che ostacolano lo sviluppo umano e contribuiscono a violare i diritti fondamentali della persona, come la produzione e il commercio di armi, le produzioni lesive della salute e dell'ambiente, le attività che si fondano sullo sfruttamento dei minori o sulla repressione delle libertà civili.


CASSA DEPOSITI E PRESTITI

La conversione energetica richiede da subito un riorientamento del sistema energetico e produttivo; emerge quindi il tema del credito, cioè del sostegno finanziario all’autoproduzione energetica tramite fonti rinnovabili, alla riqualificazione degli edifici nel senso di una maggiore efficienza energetica, alla drastica riduzione delle produzioni nocive ecologicamente e socialmente a favore di quelle necessarie alle nuove relazioni sociali compatibilmente con la disponibilità delle risorse naturali. In questa direzione deve agire un vero movimento per una ‘nuova finanza pubblica e sociale’ attraverso la ri-socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti.


COMITATI PER L'ACQUA

In Bolivia: Cochabamba dove gruppi di vicinato si organizzarono per ottenere la fornitura di acqua nelle proprie case; questi comitati nel 2000 si opposero alla privatizzazione della municipalizzata Semapa a una multinazionale e riuscirono a ottenere la co-gestione del servizio dell'acqua, rifiutando di fatto sia il concetto di proprietà privata, sia quello di proprietà pubblica statale, a favore del concetto di proprietà collettiva o comunitaria.
In Italia: forum movimenti per l'acqua pubblica, che oltre a vincere un referendum contro la privatizzazione dell’acqua ha promosso un percorso di gestione e controllo pubblico, nel senso comunitario e non statalista, del servizio idrico nel quale si colloca anche una proposta di finanziamento orientata all’equità sociale.


NoTAV

Il movimento NoTAV nasce negli anni ’90 nella comunità della Val di Susa per battersi contro una grande opera inutile e nociva, oltre che costosa, cioè la tratta AV Torino-Lione. Negli anni il movimento si estende allargando il concetto di comunità e di territorio oltre lo spazio fisico interessato direttamente dall’opera. Si crea una comunità ampia che, oltre a condividere le ragioni di contrapposizione all’opera, sviluppa una profonda condivisione di pratiche e progettualità attraverso la conoscenza, la circolazione, la partecipazione, la discussione e l’analisi, dentro un processo di auto-gestione della territorialità

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