Di fronte alla guerra di concorrenza tra padroni del complesso industriale fossile (carbone, gas, nucleare) e quelli delle rinnovabili le conseguenze si riversano sulla collettività: malattie, devastazione ambientale, licenziamenti. Un caso emblematico rimane Taranto: da una parte il padron Riva all'Ilva, dall'altra la chiusura della Buildtech Marcegaglia e della Vestas.
Riportiamo un articolo di Daniel Tanuro apparso su CommuniaNet sulla lotta tra 'capitalismo nero' e 'capitalismo verde' di fronte al quale lo studioso ed attivista belga propone un piano ecosocialista.
La stampa ha dato risalto alla notizia: gli organismi dirigenti di una
dozzina di imprese energetiche europee esigono la fine dei sussidi alle
energie rinnovabili. Lo hanno spiegato pubblicamente nel corso di una
conferenza stampa all’inizio di Ottobre.
La francese GDF-Suez, i Tedeschi BON e RWE, gli spagnoli Gas
Natural Fenosa Iberdrola, gli italiani ENI ed ENEL, i nordirlandesi Gas
Terra e gli svedesi Vattenfallt rappresentano approssimativamente la
metà della capacità energitica collocata nell’Unione. A loro nome,
Gerard Mestrallet, dell’organo dirigente di GDF-Suez, ha dichiarato:
"dobbiamo ridurre il ritmo con il quale l’Europa sistema parchi eolici e
pannelli solari. Attualmente è insostenibile".
Meno rinnovabili
L’argomentazione è la seguente: il mercato è in sovracapacità produttiva, la caduta della domanda dal 2008 ha fatto ribassare i prezzi all’ingrosso della metà (non i prezzi ai consumatori), il solare e l’eolico sono a un passo per divenire competitivi… Inutile pertanto sovvenzionarli per aggiungere ancora capacità nelle rinnovabili, poiché ciò riduce la redditività delle centrali elettriche a carbone, a gas... e nucleare.
L’argomentazione è la seguente: il mercato è in sovracapacità produttiva, la caduta della domanda dal 2008 ha fatto ribassare i prezzi all’ingrosso della metà (non i prezzi ai consumatori), il solare e l’eolico sono a un passo per divenire competitivi… Inutile pertanto sovvenzionarli per aggiungere ancora capacità nelle rinnovabili, poiché ciò riduce la redditività delle centrali elettriche a carbone, a gas... e nucleare.
Mestrallet e i suoi amici evitano di ricordare che, in realtà, le energie fossili e nucleari sono sovvenzionate in modo più generoso delle rinnovabili.
Secondo la Commissione Europea, nel 2011,le rinnovabili hanno ricevuto
30 miliardi di Euro di sussidi, i fossili 26 miliardi e il nucleare 35.
Rispetto ai fossili, conviene aggiungere le "esternalità" supportate
dalla collettività (le spese sulla salute dovute all’inquinamento), che
arrivano a 40 miliardi. In totale, dunque: 66 miliardi per il carbone,
il petrolio e il gas.
I giganti dell’energia fossile denunciano il fatto che l’Europa
"non ha una politica energetica chiara, prevedibile e obiettiva, fondata
su un regolamentazione stabile". Per Gerard Mestrallet, "la politica
energetica europea va dritto contro un muro" poichè l’approvvigionamento
non è più garantito, le emissioni di CO2 sono in aumento e i fattori di
inquinamento ugualmente. E il padrone di GDF-Suez spinge per un
"cambiamento radicale della politica energetica europea".
Questa argomentazione non tiene conto di alcuni fattori: come
mai l’approvvigionameto può essere minacciato se vi è sovracapacità
produttiva? Come mai riducendo l’offerta corrente si verrebbe a
riscontrare un ribasso dei prezzi per il consumatore? Come mai un
arresto della produzione delle rinnovabili permetterebbe di ridurre le
emissioni di gas-serra?
Di cosa si lamentano?
Cotrariamente a quello che affermano i padroni dell’energia,
l’Europa ha una politica "chiara e prevedibile". Riassunta nel
"pacchetto energia-clima", ha per obiettivo da qui fino al 2020 la
riduzione del 20% delle emissioni di gas-serra, l'aumento del 20%
dell’efficienza energetica e di rinnovabili con il mix energetico (di
cui il 10% di agrocarburanti nei trasporti). Il "pacchetto
energia-clima" non ha per scopo primario quello di evitare una
catastrophe climatica, ma quello di aiutare le industrie europee a
conquistare la leadership sul mercato delle energie verdi. Il
calcolo è il seguente: le riserve fossili si esauriscono, l’avvenire è
delle rinnovabili (e del nucleare), se l’Europa consolida la sua
supremazia in questo campo ha una chance di conquistare una posizione di
forza rispetto ai suoi concorrenti.
Questa politica bisogna combatterla da un punto di vista
ecosocialista. Infatti è, a sua volta, ingiusta socialmente – regali
alle imprese, agli speculatori e ai ricchi, aumento dei prezzi
dell’elettricità, certificati verdi (o sistemi equivalenti) pagati dalla
collettività, aumento dei prezzi dei prodotti agricoli – ed
ecologicamente inefficace, cioè nociva – fughe di carbone dovute agli
acquisti di credito generati dal Meccanismo di Sviluppo Proprio (1),
obiettivi insufficienti in materia di riduzioni di emissioni (sarebbe
necessario almeno il 30%, ma per sicurezza il 40% da qui al 2020),
accelerazioni della deforestazione al Sud in seguito all’importazione di
agrocarburanti.
Il meno che si possa dire è che i giganti dell’energia hanno spudoratamente approfittato della politica climatica dell’UE.
Hanno chiaramente ricevuto delle quantità di diritti di emissioni di
CO2 superiori alle loro emissioni effettive, in modo tale da poter
vendere le eccedenze nel mercato del carbone. Hanno fatturato ai
consumatori il prezzo di questi diritti, anche se loro non li hanno
pagati.
Nuovo fattore
Pertanto, perchè GDF ,ENI, EON e gli altri si ribellano contro la
politica europea fino al punto di manifestare pubblicamente le loro
lamentele? Perché la distribuzione è cambiata. Certo la strategia
energetica dell’UE resta valida per il lungo termine, poiché le risorse
fossili sono esauribili. Ma a breve termine, il capitalismo statunitense
ha rovesciato la situazione a proprio vantaggio. Grazie allo
sfruttamento scatenato dai gas da scisto, agli scisti bituminosi
importati dal Canada, alle nuove tecnologie di estrazione petrolifere e
all’etanolo da mais, gli USA sono ritornati ad essere una potenza
energetica. La loro dipendenza dal petrolio importato dal
vicino-oriente è diminuita radicalmente, sono divenuti nel 2010 il primo
produttore mondiale di gas – prima della Russia – e potrebbero
diventare da qui al 2030 il primo produttore mondiale di petrolio, prima
dell’Arabia Saudita!
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, la
fattura di gas delle imprese americane non rappresenterebbe, con uguale
consumo, che un terzo di quella dei loro concorrenti europei.
Rispetto alla loro fattura di elettricità, essa sarebbe due volte più
ridotta della Francia e del Regno Unito e tre volte meno pesante del
Giappone. Queste cifre sono contestabili: secondo un’analisi di Reporterre,
il ribasso del prezzo del gas non è in realtà che dell’ordine del 30%.
Anche se sufficiente per compensare l’aumento di quello del carbone. "Al
massimo, lo sfruttamento dei gas non convenzionali ha permesso
l’aumento globale del prezzo dell’energia", conclude Reporterre.
Il vantaggio competitivo, soprattutto per alcuni settori
industriali (chimica, petrolchimica e metallurgia) è tuttavia
significativo. E’ per questo che il padronato europeo spinge affinché
l’Unione tolga tutti gli ostacoli per lo sfruttamento del gas da scisto.
Il Consiglio Europeo dell’Industria chimica è particolarmente
mobilitato sul tema. GDF-Suez investe nella prospettiva del gas da
scisto in Gran Bretagna, e ha come obiettivo la Polonia come anche la
Germania.
Manipolare l’opinione pubblica
Perché questi grandi padroni ricorrono a una conferenza stampa, pur
avendo i loro “accessi” presso la Commissione e i governi? Perché una
lotta di concorrenza li oppone ai capitalisti dei settori verdi. In
questo contesto, "gli organi dirigenti fossili" vogliono migliorare il
loro rapporto di forze manipolando l’opinione pubblica. Intorno a due
promesse: il ribasso dei prezzi e la creazione di posti di lavoro.
Queste due promesse sono false.
Per quanto riguarda il prezzo del gas, occorre sottolineare che il suo ribasso negli Stati Uniti ha beneficiato solo le imprese.
I singoli cittadini non pagano meno caro di prima, e subiscono gli
inconvenienti dell’inquinamento dell’acqua, dell’aria e della
distruzione dei paesaggi. Poichè i posti di lavoro sono aumentati
oltre-oceano in seguito al rilancio dell’economia, gli "organi dirigenti
dei colossi dell’energia fossile" tentano di accordarsi con le
organizzazioni sindacali: "L’assenza di una buona politica energetica
impedisce all’industria europea di realizzare il suo potenziale come
fonte di crescita e di impiego".
E i sindacati?
Le organizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici cadranno in
questa trappola? Sfortunatamente non possiamo escluderlo. Se i sindacati
polacchi si sono opposti al gas da scisto (per delle ragioni ambigue),
in Francia, la CFDT, La CFTC e la CFE-CGC si sono accordate con la MDEF
per dire che le riflessioni in corso sulla politica energetica "non
saprebbero escludere il gas da scisto…"
Una vera transizione verso le rinnovabili creerà sicuramente più
posti di lavoro del rilancio capitalista che deriverebbe eventualmente
(lontano dall’essere acquisito) dalla nuova politica energetica voluta
dai padroni del complesso industriale fossile. Ma questa vera
transizione ha bisogno di un piano che proponga una serie di
riforme di struttura anticapitaliste: espropriazione del settore
dell’energia e di quello della finanza, soppressione dei prodotti
inutili e nocivi con riconversione dei/lle salariati/e, piano pubblico
di isolamento degli alloggi, agricoltura contadina organica al posto
dell’agrobusiness, sviluppo dei trasporti pubblici, riduzione radicale
del tempo di lavoro senza perdita di salario ecc…
Ora, a dispetto delle loro professioni di fede a favore dello
sviluppo durevole e della "transizione giusta", le direzioni delle
organizzazioni sindacali, quasi tutte in Europa, accettano in pratica di
discutere della politica energetica… nel quadro del dibattito sul
miglioramento della competitività dell’economia. Detto in maniera netta:
proseguire su questa strada significa diventare complici del sistema
capitalista nel momento in cui minaccia il pianeta di una catastrofe
climatica di enormi proporzioni e con conseguenze sociali terribili.
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(1) Il MDP è uno dei meccanismi di mercato messo in opera dal
Protocollo di Kioto. Gli "investimenti propri" nel Sud danno diritto a
dei crediti di carbone scambiabili ed equivalenti ai diritti di
emissioni sul mercato europeo. Si stima che più della metà di questi
crediti non corrisponde a vere riduzioni delle emissioni.
Traduzione di Giovanni Peta
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