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martedì 22 aprile 2014

Dall'ex Casa del rifugiato una possibile soluzione...

Da ieri mattina uno spazio abbandonato della città è stato ripreso da una 40ina di migranti del Cara di Bari-Palese. Uno spazio dal nome simbolico, conosciuto da tutt* come la casa del rifugiato, un palazzone di proprietà della Sovrintendenza di fronte al porto disabitato da quasi vent'anni. Negli anni '50 ci abitavano i profughi greci: una stanza a famiglia e servizi in comune. L'acqua corrente c'è ancora, ma manca l'agibilità.
Oggi i neo-occupanti continuano a resistere alle minacce delle istituzioni che si sentono scavalcate da quella piccola forza organizzata che, stanca di chiedere, si riappropria di un diritto, spinto dalla necessità di aver un tetto per sé e per gli altri. Negli ultimi anni i migranti sono stati portatori di molteplici rivendicazioni, dall’ottenimento dei documenti non subordinati al contratto di lavoro (come prevede l’ignobile legge Bossi Fini), alla libertà di circolazione, alla necessità di rispondere ai bisogni della quotidianeità, rispetto alla mancanza di politiche di seconda accoglienza da parte delle istituzioni. Una lista così lunga di rivendicazioni è il sintomo ineludibile di quella che oggi è la condizione reale in Italia, in Europa, dei soggetti migranti.


Le condizioni di vita estremamente precarie sono state il motore di decine di mobilitazioni che si sono susseguite in questi mesi: sit-in, cortei, occupazioni di strade e di stabili. Un movimento che si è rigenerato per la disumanità delle condizione nel Cara e della frustrazione dello schiacciamento burocratico che impedisce l'accesso a quei frammenti di welfare che ancora, ma solo sulla carta, dovrebbero essere garantiti. Un movimento che mantiene la propria fondamentale propensione nell'autodeterminazione e nell'autorganizzazione. La forza conflittuale che i migranti hanno portato in questa città è talmente dirompente da aver ottenuto una più che comprensibile visibilità non solo della cittadinanza, ma anche delle istituzioni e della stampa, che spesso sentenziano sulle pratiche conflittuali dei migranti, elogiando il passivismo e l'obbedienza di alcuni, e reprimendo le iniziative di emancipazioni e di lotta degli altri. Per esempio questo è quello che è successo con la rivolta dei migranti del Cara il primo agosto 2011.
Bari può vantare già una esperienza di riappropriazione, l’ex scuola Socrate, autogestista da un gruppo di rifugiati eritrei. Oggi dopo 4 anni di occupazione, nonostante le innumerevoli difficoltà è lentamente recuperata e resa agibile dagli stessi abitanti. Al diritto alla casa si uniscono altri benefici concreti, tra cui la possibilità di non pagare un affitto e le utenze. In più si stanno praticando percorsi concreti per il miglioramento della propria condizione di vita, con il progetto di autorecupero sulla struttura per rendere la permanenza degli abitanti stabile e di lunga durata. Le istituzioni invece di contrapporsi con la forza della repressione, utilizzando le leggi in maniera strumentale, potrebbero prendere d’esempio le esperienze partite dal basso che in città stanno dimostrando che un’altra politica d’accoglienza e dell’inclusione sociale già esistono. La soluzione potrebbe essere di individuare il patrimonio pubblico in disuso, abbandonato e che fa gola alla speculazione, e concederlo a chi oggi non ha una abitazione. Invece di sperperare denaro pubblico, lo si potrebbe utilizzare per recuperare questo patrimonio anche attraverso la partecipazione diretta di chi se ne è riappropriato, come l’esperienza di occupazione di questi giorni a Bari.

Rivoltiamo la precarietà.

febbraio 2014

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