Da ieri mattina uno spazio abbandonato della città è stato ripreso da
una 40ina di migranti del Cara di Bari-Palese. Uno spazio dal nome
simbolico, conosciuto da tutt* come la casa del rifugiato, un palazzone
di proprietà della Sovrintendenza di fronte al porto disabitato da quasi
vent'anni. Negli anni '50 ci abitavano i profughi greci: una stanza a
famiglia e servizi in comune. L'acqua corrente c'è ancora, ma manca
l'agibilità.
Oggi i neo-occupanti continuano a resistere alle
minacce delle istituzioni che si sentono scavalcate da quella piccola
forza organizzata che, stanca di chiedere, si riappropria di un diritto,
spinto dalla necessità di aver un tetto per sé e per gli altri. Negli
ultimi anni i migranti sono stati portatori di molteplici
rivendicazioni, dall’ottenimento dei documenti non subordinati al
contratto di lavoro (come prevede l’ignobile legge Bossi Fini), alla
libertà di circolazione, alla necessità di rispondere ai bisogni della
quotidianeità, rispetto alla mancanza di politiche di seconda
accoglienza da parte delle istituzioni. Una lista così lunga di
rivendicazioni è il sintomo ineludibile di quella che oggi è la
condizione reale in Italia, in Europa, dei soggetti migranti.
Le
condizioni di vita estremamente precarie sono state il motore di decine
di mobilitazioni che si sono susseguite in questi mesi: sit-in, cortei,
occupazioni di strade e di stabili. Un movimento che si è rigenerato
per la disumanità delle condizione nel Cara e della frustrazione dello
schiacciamento burocratico che impedisce l'accesso a quei frammenti di
welfare che ancora, ma solo sulla carta, dovrebbero essere garantiti. Un
movimento che mantiene la propria fondamentale propensione
nell'autodeterminazione e nell'autorganizzazione. La forza conflittuale
che i migranti hanno portato in questa città è talmente dirompente da
aver ottenuto una più che comprensibile visibilità non solo della
cittadinanza, ma anche delle istituzioni e della stampa, che spesso
sentenziano sulle pratiche conflittuali dei migranti, elogiando il
passivismo e l'obbedienza di alcuni, e reprimendo le iniziative di
emancipazioni e di lotta degli altri. Per esempio questo è quello che è
successo con la rivolta dei migranti del Cara il primo agosto 2011.
Bari
può vantare già una esperienza di riappropriazione, l’ex scuola
Socrate, autogestista da un gruppo di rifugiati eritrei. Oggi dopo 4
anni di occupazione, nonostante le innumerevoli difficoltà è lentamente
recuperata e resa agibile dagli stessi abitanti. Al diritto alla casa si
uniscono altri benefici concreti, tra cui la possibilità di non pagare
un affitto e le utenze. In più si stanno praticando percorsi concreti
per il miglioramento della propria condizione di vita, con il progetto
di autorecupero sulla struttura per rendere la permanenza degli abitanti
stabile e di lunga durata. Le istituzioni invece di contrapporsi con la
forza della repressione, utilizzando le leggi in maniera strumentale,
potrebbero prendere d’esempio le esperienze partite dal basso che in
città stanno dimostrando che un’altra politica d’accoglienza e
dell’inclusione sociale già esistono. La soluzione potrebbe essere di
individuare il patrimonio pubblico in disuso, abbandonato e che fa gola
alla speculazione, e concederlo a chi oggi non ha una abitazione. Invece
di sperperare denaro pubblico, lo si potrebbe utilizzare per recuperare
questo patrimonio anche attraverso la partecipazione diretta di chi se
ne è riappropriato, come l’esperienza di occupazione di questi giorni a
Bari.
Rivoltiamo la precarietà.
febbraio 2014
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