Viene lo scoramento a
commentare una volta di più una notizia come quella della strage di
Scicli - perché di strage si tratta. Ma bisogna farsi forza, soprattutto
per sfondare il muro delle frasi fatte e dei luoghi comuni che
accompagnano sui media queste notizie. Non si tratta di una calamità, e
solo in parte di un delitto degli scafisti, se il loro ruolo verrà
confermato. Perché la responsabilità di stragi di queste proporzioni
(poco meno di 20.000 annegati in 25 anni) non è di poche carogne, quanto
dei nostri paesi, occidentali, europei e «civili» che non vogliono
vedere, non vogliono sapere e soprattutto non vogliono agire.
L'intrepido
Hollande e l'astuto Cameron avevano già fatto scaldare i motori dei jet
per bombardare la Siria; non vedevano l'ora di ripetere l'exploit
libico e stavano trascinando il mondo in una crisi dalle conseguenze
imprevedibili; ma non si sognano nemmeno - alla pari di tutti gli altri
leader europei - di immaginare qualcosa di concreto per aiutare chi
abbandona paesi in guerra o devastati da una povertà che noi non
immaginiamo nemmeno: eritrei, somali, libici, tunisini, egiziani,
afghani, siriani e così via. Su tutto questo non c'è una sola idea degna
di questo nome, e non parliamo di progetti o programmi. Ci sono le
parole dell'Onu e talvolta la solidarietà di bagnanti e altri o che si
comportano da esseri umani. Per il resto, silenzio istituzionale, slogan
razzisti, campi ed espulsioni.
E non
parliamo dell'Italia, il paese meno aperto al mondo in termini di
accoglienza dei rifugiati e dei migranti, a onta del simpatico ministro
Kyenge, che in queste materie decide ben poco, dato che sono di
competenza degli Interni. Stiamo parlando di rifugiati, a cui l'Italia
concede ben pochi visti: da noi sono 64.800 circa, poco più di un decimo
di quanti non ne accolga la tanto detestata Germania di Angela Merkel
(più di 580.000). Persino la piccola Olanda (un decimo della nostra
popolazione) accoglie più rifugiati di noi, e non parliamo di Francia e
Inghilterra, che almeno in questo sono paesi più civili dei loro leader
politici.
In Italia, a rappresentare
un bel contrasto con la solidarietà di bagnanti e cittadini c'è il
semplice fatto che la quasi totalità del ceto politico e parlamentare
condivide, tacitamente o sbraitando, la cultura del «respingimento», per
usare il neologismo coniato da qualche funzionario degli Interni. A
parole, qualche lacrima di coccodrillo sulle morti in mare, nei fatti
linea dura. Gli stessi agenti che magari salvano un migrante che sta
annegando devono dare la caccia a quelli che scappano in cerca di
sopravvivenza e un po' di libertà. Ma c'è qualcuno che sulla questione
delle migrazioni dice, se non altro, quello che pensa. È Beppe Grillo
che, sul suo blog, ne ha scritte di tutti i colori contro i migranti.
Nel 2007 scriveva che i romeni violano i «sacri confini della patria« e
oggi che «i veri extracomunitari siamo noi»! Se la pensa così uno che
passa da alternativa al sistema, figuriamoci il sistema. Pietà l'è
morta, come si cantava tanti anni fa.
La
questione essenziale è che nessuno al potere dice quello che chiunque è
in grado di capire. Che l'economia e la politica globale, oscillanti
tra cicli di guerra e di crisi economiche, producono la realtà da cui i
migranti scappano. E che quindi sono responsabili, su un piano politico,
più che morale, della loro sorte, del loro «respingimento» e delle loro
morti. Se non ci fossero le barriere marine, i migranti non sarebbero
costretti a rischiare la vita. Aspettarsi che i leader facciano qualcosa
per loro mi sembra impossibile, oggi come oggi. Ma che non riconoscano
nemmeno la realtà è insopportabile.
Alessandro Dal Lago
da Il Manifesto
Movimenti migranti e antirazzismo
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