da COMMUNIA FEST workshop su Riappropriazione, Autogestione, Nuovo mutualismo
Roma, 20-21-22 settembre 2013
Nell’ultimo anno stiamo praticando esperienze di occupazione,
riappropriazione, mutualismo, recupero e gestione conflittuale diretta
di spazi, che possono essere di proprietà pubblica o privata.
1)Queste pratiche vivono all’interno di processi di autorganizzazione
di un proletariato etereogeneo, attraverso i quali la pratica
dell'autorganizzazione si consolida ma soprattutto si riproduce
socialmente, e col tempo crea soggettività di classe ed anche relazioni
economiche e sociali differenti a quelle dominanti.
2) Una contraddizione irrisolta del marxismo sta nella dialettica tra
l’approccio statalista-centralista e un approccio autogestionario.
Queste tesi, tra loro all’apparenza inconciliabili, possono convivere
insieme all’interno di processi sinergici da provare ad articolare gli
uni con gli altri. In Marx non c’era il rigetto delle esperienze sociali
(cooperative, principio collettivista) come dimostrano i documenti e le
corrispondenze redatte durante la I^ Internazionale. Piuttosto si
scagliava contro la falsa illusione di poter abbattere il capitalismo
attraverso una loro graduale e spontanea estensione, surclassano così la
questione fondamentale della presenza dello Stato. Il primo quesito che
dobbiamo porci è: come conciliare le esperienze di autogestione,
mutualismo e riappropriazione a livello locale con la necessità di
deperire lo Stato attuale (al servizio degli interessi del capitalismo),
momento decisivo del processo di emancipazione sociale, e dall’altro
ridurre, corrodere i diritti del capitale?
3) Ineludibile si inserisce la questione spinosa della proprietà. La
transizione da un economia capitalistica ad una realmente solidale non
può che passare da una spietata lotta politica. Ciascuna esperienza
locale deve essere portatrice di un potere di negoziazione con lo Stato e
le istituzioni collegate, da una parte (presente in Communia con la
fortissima denuncia sulle speculazioni a San Lorenzo, al Socrate
occupato di Bari, alla Ri-maflow a Milano). I momenti di rottura (seppur
parziali), di lotta e di incursioni anche dispotiche (ossia “illegali”
secondo le normative attuali) nel dominio della proprietà privata
possono assumere anche e soprattutto la capacità di creare intorno a sé
consenso e solidarietà, cuscinetti indispensabili e ruote motrici di
qualcosa che vada al di là delle pratiche stesse che si stanno portando
avanti.
4) Un'altra questione fondamentale riguarda il processo di
individuazione dei “veri nemici”. Insieme al progressivo rosicchiamento
dei diritti del capitale, l'intento di queste pratiche deve consistere
nel corrodere quella credibilità e sfera nebulosa che la classe
dominante è riuscita a costruire intorno alla propria identità, da far
venire allo scoperto attraverso gli stessi conflitti sociali che si
danno. Gli interessi di parte dei Caltagirone di turno, delle banche e
multinazionali prendono pian piano fisionomia nel momento in cui si
rivendica la riappropriazione del loro diritto di proprietà, si
denunciano e si combatte il furto compiuto. Come? Anche attraverso le
occupazioni, i processi di autorganizzazione ed autogestione. Uno snodo
strategico che crea soggettività e compattezza della classe, un graduale
percorso (non lineare, ma reale) di presa di coscienza, quella di
classe!
5) Queste pratiche tuttavia non sono sufficienti; c’è bisogno di
organizzazione, di una visione globale: questo insieme di
sperimentazioni va vissuto come un processo ed una costruzione in cui
ciò che tiene unito il tutto è la capacità di mantenere un coordinamento
e connessione democratica della pluralità sperimentale delle resistenze
e delle esperienze maturate. Un progetto politico dal pensiero forte ed
in continua costruzione. Un cantiere permanente.
6) Se cominciamo a delineare un network o area politica organizzata,
per evitare di riprodurre errori del passato, senza sciogliersi
nell'ansia del contingente, dobbiamo pensare ad un’organizzazione che
porti con sé tratti sindacali, sociali...politici. Una rete organizzata
nella quale il mezzo non è la rappresentazione tout court della classe,
ma una coopartecipazione attiva che parta dai bisogni di sé e i cui
protagonisti siano i nuovi e vecchi soggetti del lavoro precario e
salariato, dei soggetti lgbt, delle donne e dei soggetti oppressi in
lotta.
7) In cosa possono consistere questi tratti sociali, sindacali...politici di una rete organizzata?
Il tratto sociale. Il recupero di una fabbrica, i presidi permanenti
di lavoratori in lotta davanti ai cancelli e agli uffici del proprio
posto di lavoro sono lotte esemplari. La riappropriazione di una
fabbrica, il suo spazio antistante, di un’ex-scuola, di un cinema, delle
fonderie abbandonate, pur riguardando la messa in moto di una parte
della classe lavoratrice può essere portata avanti secondo la nostra
idea di progettualità politica solo se facente parte anche di una lotta
di classe generale.
Al tratto sociale s’intersecano nuove forme di Mutualismo. Un
progetto che parte e si inserisce dal sociale deve far comprendere e
incorporare questa componente politica nel suo percorso. Si devono
tenere strettamente legati due aspetti dell’azione conflittuale, che
possono anche rientrare in contraddizione l’uno con l’altro: da una
parte la messa in discussione e lo scontro con il sistema e le sue
istituzioni (una lotta di lunga lena), dall’altra parte la costruzione
di un’alternativa di vita nell’immediato, che è la condizione di
sopravvivenza per milioni di persone, condizione fondamentale affinché
alcuni percorsi di lotta possano continuare e risultare efficaci.
Ecco
che l'intervento sociale assume anche tratti sindacali, perché oggi a
differenza dei decenni passati, all’interno della crisi, il proletariato
e i soggetti sociali che tendono sempre più a proletarizzarsi si
trovano a difendere i propri interessi diretti e immediati. Non è un
caso che scoppino lotte per soddisfare le esigenze e i bisogni primari,
che riguardano le condizioni economiche quotidiane, la mancanza di
reddito e di welfare. Le continue privatizzazioni dei servizi pubblici
ne sono una causa ben evidente. All’interno dei percorsi di
riappropriazione, mutualismo, di autogestione non possiamo eludere le
mobilitazioni, le rivendicazioni per la difesa della sanità,
dell’istruzione e dei trasporti pubblici che si intersecano con i
processi di precarizzazione e svalorizzazione del lavoro, di
deindustrializzazione. Per questo la costruzione di campagne come quella
per “Una nuova finanza pubblica e sociale” rientrano nel progetto
complessivo.
Rispetto all’autogestione, l’idea di fondo è quella dell’esercizio
della gestione e del controllo orizzontale del potere. Iniziamo facendo
dei brevi cenni storici sull’autogestione. E’ fondamentale sottolineare
l’importanza che Rosa Luxemberg abbia avuto agli inizi del ‘900 con
”Riforma sociale o rivoluzione?” in cui ribadisce, in contrasto con le
illusioni riformiste, come nel dominio dello scambio nell’economia
capitalistica il sistema cooperativistico non faccia che accrescere lo
sfruttamento dei lavoratori a causa dei meccanismi di concorrenza.
Ernest Mandel afferma come sia impossibile una democrazia economica
senza rovesciare lo Stato borghese, invece l’autogestione può essere
importante solo in una fase di crisi rivoluzionaria. Non a caso lo
stesso Mandel facendo riferimento ad una situazione di crisi
rivoluzionaria, come l’occupazione delle fabbriche nel ’17, in cui un
primo inizio di gestione operaia faccia accelerare i tempi di
maturazione della crisi ed agevola e comprima sempre più i tempi della
lotta per la presa del potere.
Rispetto ad una riflessione sicuramente più recente di Autogestione
come pratica per allargare le contraddizioni del mercato, e che si pone
di frenare la dispersione dei lavoratori e la disoccupazione di massa, è
quella delle “FABRICAS RECUPERADAS ARGENTINE”, le quali dalla crisi del
2001 in avanti, e poi sviluppatasi a macchia d’olio in molti paesi
latino-americani (Brasile,Venezuela..) e di recente anche in Europa, non
sono altro che esempi di autogestione come alternativa
anticapitalistica al sistema! Significativa è la vicenda del “MOVIMENTO
SEM TERRA” in Brasile. Ci sono state e ci sono tuttora delle classiche
organizzazioni sindacali nei vari stati brasiliani. Ma il MST con
l’occupazione delle terre e delle abitazioni e la
produzione/distribuzione, il tutto attraverso un sistema di cooperative,
risulta essere un passo importante per questa lotta, che viene
esercitata in prima persona senza delega ai vari partiti, anche a quelli
più vicini al movimento stesso. Si tratta di uno dei movimenti sociali e
politici più importante ed influente oggi in America latina. Senza
incorrere nell’errore di prendere queste esperienze come modelli
standardizzati e da esportare, bisogna ragionare su come le pratiche di
autogestione ed autorganizzazione assumano il ruolo di contrasto a
burocrazie ed apparati. Possono essere usati come degli strumenti di
“contropotere”. Nelle esperienze che pratichiamo il processo di
autogestione (dinamico,non statico) si dà ed autoalimenta anche
attraverso assemblee, l’elezione di coordinamenti, l’individuazione di
responsabilità a rotazione e revocabili, tenendo conto delle proprie e
personali predisposizioni e attitudini.
Nell’esercizio dell’autogestione urge entrare nel merito anche e
soprattutto del chi produce, cosa produrre e come produrre. Domande
legate da un filo conduttore ben preciso:
- il soddisfacimento dei bisogni delle persone, quindi la produzione e
l’erogazione di servizi tenendo conto del valore d’uso e non quello di
scambio fondato sulle esigenze e leggi di mercato;
- quali criteri utilizzare per la pianificazione-programmazione dei beni, dei servizi da produrre e da erogare;
- infine, tutto questo e le nostre attuali e future sperimentazioni
devono rientrare in una visione di eco-sostenibilità (si veda la
relazione su “crisi ambientale” a cura del collettivo di Rivolta il
debito Bologna).
Tutto questo crediamo debba connettersi ed inserirsi all'interno
della costruzione di un immaginario alternativo rispetto a quello che
quotidianamente viene creato e curato dai poteri dominanti. Un progetto
politico, rivoluzionario con queste basi deve portare con sé la capacità
di riuscire a raccontare un insieme coerente di immagini, storie e
narrazioni provenienti dalle esperienze maturate, dalle energie e forze
accumulate, dalle poche ma importanti vittorie raggiunte. Che abbiano
l’ambizione di spostare il proprio sguardo ai e nei movimenti, alle
resistenze e lotte simili e affini nel mondo. Un pensiero forte,
coerente e pregnante insieme a quello che stiamo con fatica costruendo
può (e forse lo sta già diventando) una scuola di vita individuale e
collettiva. Un processo di trasformazione che rompe nella pratica con
tutti gli schemi dell’ideologia dominante: la passività
dell’operaio,l’incapacità del povero,la necessità di un leader, il
machismo, l’individualismo, la superiorità e la delega ai politici e
agli intellettuali (che siano di regime o meno), l’obbedienza alle forze
dell’ordine, l’infallibilità della legge e del diritto.
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