mercoledì 25 settembre 2013

Perchè tornare sulla Prima Internazionale?

La recensione del libro La Prima Internazionale di Mathieu Léonard (in libreria dal 9 ottobre) uscita sulla rivista francese Contretemps poco dopo la sua pubblicazione in Francia. "Un'opera forse decisiva per aprire dei dibattiti cruciali per il movimento operaio".



Perché tornare sulla Prima Internazionale? Perché è sconosciuta e spesso ridotta a una caricatura? E' solo perché allora si verificò una divergenza che divide il movimento operaio tra sostenitori di una “sindacalizzazione generalizzata” della società e socialisti cosiddetti statalisti, che hanno insistito, al contrario, sulla necessità di conquistare lo Stato? Come comprendere la dissoluzione finale? E' la storia di un fallimento o di una fondazione? La sua storia è ricca di ulteriori insegnamenti?


Quest'opera di Mathieu Léonard si impegna a riassumere tutto questo. Attraverso una ricontestualizzazione rigorosa, cercando di evitare qualsiasi determinismo, l'autore riesce a chiarire i punti che troppo spesso si prestano a semplificazioni storiche (e a utilizzi politici). Così, il ruolo di Marx, troppo spesso sopravvalutato, viene chiarito. Egli giocò un ruolo secondario nella creazione dell'Associazione internazionale dei lavoratori, ma uno centrale nella fase di crescita dell'influenza dell'Associazione fino alla sua dissoluzione nel 1872. Questa sintesi, però, non cerca di dissimulare lo scontro allora centrale nell'Ait [Association internationale des travailleurs - ndr] tra “autoritari” e “anti-autoritari”. Così non sarà affatto difficile stabilire da quale “parte” si schieri l'autore (che è anche collaboratore del giornale libertario Cqfd).

Léonard rintraccia la nascita dell'Internazionale nella continuazione delle idee affermatesi durante la Rivoluzione francese: la fraternità dei popoli contro i tiranni, l'uguaglianza degli uomini al di là delle frontiere, una solidarietà concreta. La rivoluzione industriale, facendo saltare i confini economici nazionali mette i lavoratori in una condizione di concorrenza permanente. Il manifesto comunista del 1848 ricorda che le coalizioni operaie sono già vecchie. Dal 1836 il movimento operaio inglese, attraverso i suoi dirigenti cartisti, redige un appello di solidarietà agli operai belgi che fanno un bel po' di chiasso in Europa. Di fatto, l'Ait possiede dei precursori poco conosciuti, dall'esistenza effimera, che l'opera ha il merito di ricordare.
Del resto, non è un caso se l'Ait nasce a Londra, capitale della prima potenza industriale, dove si concentrano i rifugiati politici venuti da tutta Europa dopo la Primavera dei Popoli del 1848. Questa Prima Internazionale dura otto anni. Otto anni che Léonard periodizza così: una prima corta sequenza modellata sulle trade-unions inglesi, seguita da un periodo di sostegno agli scioperi che si moltiplicano a partire dal 1866, infine una fase della crescita della lotta di classe e della repressione (culminante con la Comune) e infine l'esplosione dell'Ait nel 1872.

L'Associazione sarà innanzitutto un'agenzia e una rete, con pochi aderenti e pochi mezzi - “una grande anima in un piccolo corpo” - diceva Charles Rappoport. Sarà una somma di interessi diversi, che si ritrova sotto l'idea dell'emancipazione del proletariato, senza capi, senza bandiere, senza dottrina ufficiale, prima che nascano delle sezioni nazionali dal peso molto diverso.
Malgrado le origini inglesi dell'Internazionale, Léonard si impegna a descrivere prioritariamente la sezione più grande, quella francese. Che è largamente proudhoniana, pro-cooperativa, costituita da operai istruiti – che rifiutano intellettuali o borghesi. Deve vedersela con l'opposizione esterna, poi interna, dei blanquisti che raggiungeranno l'Internazionale nel 1870. I rapporti con Marx saranno ugualmente complessi, in quanto Marx nutre un profondo disprezzo per Proudhon e le sue idee, ma rispetta i membri francesi come veri rappresentanti della classe operaia. Quella che viene offerta alla lettura, dunque, è una storia, dettagliata del movimento operaio europeo, della sua evoluzione, attraverso il prisma dell'Internazionale.
Progressivamente, malgrado i dissensi e le dispute, l'Internazionale adotta un programma, si amplia, recluta, prende posizione sui tempi di lavoro, l'istruzione gratuita, la guerra civile americana, il lavoro delle donne. A partire dal 1867, la sua sezione francese è esposta alla repressione napoleonica (processi, multe, arresti, divieti) che la trasforma. Una nuova generazione ne prende la testa che la proietta più chiaramente nel ruolo di organizzazione rivoluzionaria. Per distinguersi dai blanquisti, questa nuova generazione (Varlin, Malon, Combault) si fa chiamare “comunisti liberali” (o “antiautoritari”). L'influenza di Marx su di loro è quasi nulla (Malon non lo conosce nemmeno di nome nel 1869).

In occasione dell'ondata di scioperi del 1867-'68, l'Internazionale sembra trovare una vocazione di collegamento tra gli scioperi, fungendo da connessione (specialmente per le casse di sciopero) su scala europea, e le adesioni di fatto si moltiplicano (1 milione di aderenti nel 1869) mentre il numero di coloro che versano una quota resta ridicolo. Bakunin costituisce progressivamente uno “Stato nello Stato”, congiungendosi all'Internazionale con il suo partito, l'Alleanza dei rivoluzionari socialisti. Il duello che ne segue non può essere sintetizzato in uno “scontro tra capi”, tra due individualità perché esprime delle vere divergenze ideologiche. Mathieu Léonard comunque non cerca di nascondere nemmeno i pettegolezzi e le meschinità che vengono messe in piedi per il controllo dell'Internazionale.
Problema reale, come proverà la sezione francese. I suoi membri giocheranno un ruolo decisivo nell'organizzazione della Comune, in particolare grazie alla legittimità acquisita nel sostegno agli scioperi operai degli anni 1860. Il governo di Napoleone III, consapevole di quanto sta ribollendo, tenta un plebiscito di liberalizzazione del regime colpendo però l'Internazionale. I processi non fanno che renderla più celebre – anche se la stampa ne rimanda un'immagine sproporzionata e deformata – e servono da tribune per le sue idee. Ma è la guerra del 1870 che la dividerà davvero.
Una volta proclamata la repubblica, Marx sostiene la lotta dei francesi e teme una rivolta di Parigi, di cui intravede già il fallimento. Il disastro di un primo sollevamento a Lione, dove Bakunin è parte attiva – in seguito riesce a fuggire – gli conferma questa idea. Per Marx, Bakunin è responsabile del discredito che rischia di riversarsi sull'Internazionale (“voi comprenderete che il fatto stesso che un russo – rappresentato dai giornali borghesi come un agente di Bismark – voglia pretendere di imporsi come il capo di un comitato di salute della Francia era già sufficiente per far voltare le spalle all'opinione pubblica” scrive a Beesly il 19 ottobre 1870). Da notare che durante la Comune, le sezioni francesi dell'Internazionale sono profondamente disorganizzate e ciascuna agirà, almeno in un primo momento, per conto suo. Quanto a Marx, meno di un mese dopo il debutto della Comune, egli scrive: “Se soccomberanno, sarà unicamente per essere stati 'troppo gentili'. Avrebbero dovuto marciare subito su Versailles (...)” (Lettera a Kugelman del 12 aprile 1871). Il massacro della Comune provocherà quindi la rottura tra i due campi dell'Internazionale, malgrado il sostegno comune all'esperienza comunarda.

Dopo il 1870, gli insulti antisemiti nei confronti di Marx sono la risposta alle accuse di settarismo contro gli uomini di Bakunin. Il congresso dell'Aia del 1872, determina la rottura. Bakunin, minoritario a eccezione dei paesi latini, decide di boiccottare il congresso. Certe sezioni nazionali (spagnole o italiane per esempio) scelgono a larga maggioranza un campo. Il congresso stesso è accusato di irregolarità nella distribuzione delle deleghe. Marx si mette a gestirlo personalmente. La minoranza presente contesta la trasformazione del Consiglio generale in direzione politica e la centralizzazione crescente. Al termine del congresso, il Consiglio generale può sciogliere le sezioni – potere giustificato dalla possibilità che queste siano infiltrate dalla polizia – e la centralizzazione è ancora rafforzata. Il consiglio generale è trasferito a New York, fuori dall'influenza degli anarchici, dei blanquisti e lasciando Marx libero di dedicarsi al lavoro teorico. I blanquisti, in particolare i vecchi della Comune, lasciano l'Internazionale. Gli inglesi fanno lo stesso e si concentrano sulle proprie questioni interne. La federazione del Juras, la belga, subiscono delle scissioni, come numerose altre sezioni, non sempre a opera degli anarchici. Nel settembre 1872 nasce una Internazionale antiautoritaria, che si isola e subisce la repressione, senza poter costituire un movimento di massa. L'Ait “ufficiale” è ugualmente un fallimento, con un congresso del 1873 in cui non succede nulla. Viene sciolta nel 1876.
Questo breve sunto cerca di mostrare che questa opera non è una arida storia svincolata dalle idee, ma un racconto, più o meno fluido, che punta a dare una connessione concreta tra la pratica militante e l'elaborazione teorica che ha voluto essere l'Ait. Il lbro a un certo punto sembra appesantirsi ed esitare tra la descrizione di lotte tra le due fazioni e il legame tra l'Internazionale e il contesto europeo più generale. La descrizione talvolta si tramuta in giudizio, offrendo così – involontariamente? - l'immagine di un Marx machiavellico o di un Bakunin capriccioso e di una Ait sempre più distaccata dal movimento reale della lotta di classe. Movimento che non sembra uscire dal quadro nazionale. Più avanti nel libro, alcuni tagli – o meglio, alcuni scarne citazioni – nelle parole di Engels (in particolare il testo del 1873 “i bakunisti all'opera”) lasciano un dubbio sulla neutralità dell'autore (…) Si tratta però di un'opera forse decisiva per aprire dei dibattiti cruciali per il movimento operaio.

da IlMegafonoquotidiano 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.