venerdì 30 agosto 2013

Contro le narrazioni tossiche, un recensione di "Mitocrazia"

Ci sono storie che confermano il sistema di valori in cui siamo inseriti e altre che lo ribaltano. Ci sono storie che muovono dal basso, che sono egalitarie ed emancipatorie e altre che discendono dall'alto, che irreggimentano e propagano i canoni del senso comune. Una recensione del libro "Mitocrazia. Storytelling e immaginario di sinistra".

Tra le cose che facciamo, raccontiamo storie. Dalla chiacchiera da bar alle strategie delle campagne elettorali, dai libri ai cinema, dalla pubblicità all'ultimo insopportabile reality: raccontiamo storie, elaboriamo immaginari che possono citarsi e decostruirsi a vicenda, lottare tra di loro, emancipare i lettori o contribuire a rinsaldare le cornici del pensiero dominante. Su queste faccende si interroga, con i ferri del mestiere della narratologia, della semiotica del testo e delle discipline strutturaliste, Yves Citton, autore di Mitocrazia. Storytelling e immaginario di sinistra (Alegre, 2013, pp. 271, euro 20, traduzione di Giulia Boggio Marzet Tremoloso).
Come si guadagna l'attenzione del lettore? Come si sollecitano le sue reazioni emotive e cognitive, si agganciano le riflessioni e i ragionamenti con la forza del riso e delle lacrime, della fierezza e dell'umiliazione? Esiste un modo enunciazionale tipico di una narrazione di sinistra, che sia emancipatoria e non elitaria? Che alimenti un immaginario popolare? Come possono alcune storie farci diventare quel che «dovremmo essere»? Per rispondere, Citton elabora una complessa teoria del sapere e del potere che arriva fino al campo testuale e alle sue implicazioni pragmatiche e perlocutive. Pagato il suo debito con Tarde, Deleuze, Guattari e Lazzarato, la riflessione dell'autore è ancora più intrigante quando si inoltra in quella zona magnetica in cui il potere circola tra gli attori sociali in «flussi di desideri e di convinzioni». In questo campo (magnetico, ma anche semiotico) si formano strategie testuali che catalizzano emozioni e influenzano opinioni. Queste strategie altro non sono che le storie raccontate e la nostra realtà è «un'immensa accumulazione di racconti».

mercoledì 28 agosto 2013

Siria, tra solidarietà e coerenza.

Per essere chiari: siamo completamente e indubbiamente contro qualsiasi intervento militare di Stati uniti e alleati contro la Siria. Siamo state/i in prima fila negli ultimi 20 anni nel denunciare questo tipo di interventi (dall'Iraq alla ex-Jugoslavia, dall'Afghanistan alla Somalia, dalla Libia al Mali e tanti altri) e ci siamo mobilitate/i per contrastarli – in particolare per denunciare e contrastare il contributo politico, militare e finanziario del nostro paese a tali interventi.
Sembra una banalità, ma non è così: in primo luogo perché è bene ricordarlo a noi stesse/i e a chi vuole ascoltarci; in secondo luogo perché altri non possono rivendicare tale coerenza – pensiamo al grande attivismo attuale dei pochi militanti del PdCI, che sembrano non ricordare (o forse preferiscono rimuovere...) il contributo del loro partito ai bombardamenti su Belgrado; o a chi ha preferito salvare il soldato Prodi di fronte al rinnovo della missione militare in Afghanistan....

Gli ultimi giorni sembrano aver aperto la strada ad una possibile escalation dell'intervento militare diretto in Siria, attraverso una qualche forma di bombardamento di Usa e alleati.
Il terribile attacco con armi chimiche nella zona di Ghouta a Damasco sembra rappresentare per la diplomazia internazionale e per gli ipocriti governi occidentali un evento da cui non possono prescindere e al quale devono in qualche modo «rispondere».
Naturalmente non possiamo sapere con certezza chi siano i responsabili dell'uso di gas contro la popolazione siriana – ma in fondo questa tragedia non cambia sostanzialmente quanto avviene in quel paese (e le responsabilità criminali del regime, non solamente negli ultimi due anni di repressione e massacri), anche se potrebbe provocare un salto di qualità nella guerra in corso.
Abbiamo visto troppe volte le menzogne e le bufale della propaganda di guerra per poterci fidare dei vari Kerry, Cameron e amici loro. Allo stesso tempo ci fanno sorridere – per non dire che ci disgustano – i falsi ingenui che prendono automaticamente per buone le rivelazioni del regime di Assad che ha immediatamente ritrovato i bidoni di armi chimiche nei tunnel scavati dai «ribelli» – come se questa non fosse propaganda alla stessa stregua e con la stessa mancanza di credibilità.
L'intervento diretto di Usa e alleati potrebbe quindi scattare, malgrado questo intervento non sia stato davvero perseguito da Obama e la sua amministrazione – che anzi continua ad avere molti dubbi e a inviare al regime di Assad, ai suoi protettori e al mondo intero segnali contraddittori.
Obama continua a parlare della «necessità di un consenso della comunità internazionale», ma questa è una frase che non significa nulla – soprattutto in bocca a chi si sente in qualche modo il rappresentante legittimo, morale prima ancora che politico, di tale «comunità» inesistente. Allo stesso tempo cerca segnali precisi che provengono da Russia e Cina, dichiaratamente contro ogni intervento diretto – ma pronte a prenderne atto con proteste formali e nessuna conseguenza seria sul piano delle relazioni diplomatiche, come già successo più volte anche negli ultimi anni, mentre continueranno a fornire armi e supporto tecnico al regime siriano.

A discapito della scarsa voglia di imbarcarsi in un'avventura di cui non riescono a prevedere conseguenze a corto e lungo periodo, Usa e alleati potrebbero comunque alla fine decidere per un intervento «limitato» - più simile ai bombardamenti su Somalia e Uganda che non alla «missione» in Kosovo.
Questo intervento peggiorerebbe ancor più di quanto già sia tragica la situazione in Siria, per diversi motivi: in primo luogo, come sempre avviene, la solita «chirurgia» di guerra statunitense e alleata porterà nuovi lutti alla popolazione siriana che si vuole «liberare», come succede ogni giorno in Afghanistan e come è successo in Iraq, Kosovo, Libia ecc... - con altre migliaia di profughi che fuggiranno dalle zone bombardate; secondo, pur causando danni alle forze militari del regime, non sarebbe in grado (ne si spingerebbe a farlo) di renderle inoffensive - anche perché ci sarebbe comunque un aumento delle forniture e del sostegno da parte di Russia e Iran; terzo, il regime ricompatterà le sue fila e riceverà nuovi consensi in Siria e fuori dalla Siria; quarto ci sarà sicuramente una recrudescenza degli scontri armati - anche tra le file dell'opposizione, perché diversi gruppi cercheranno di garantirsi una migliore posizione per i giorni dopo l'intervento; infine, aumenterà il rischio di un contagio regionale, che si estenderebbe direttamente al Libano e poi ad altre regioni, forse fino all'Egitto.
Per tutto questo siamo contro ad un intervento militare in Siria, diretto e messo in atto da chi si presenta come gendarme del mondo non avendone alcun titolo.

Dicendo che siamo contro l'intervento straniero in Siria dobbiamo ricordare che questo già è in corso, da parte di diversi soggetti: mentre la frastagliata opposizione siriana viene nei suoi diversi gruppi sostenuta da Arabia Saudita, Qatar, Turchia e dagli stessi paesi della Nato, il regime di Assad ha goduto di un sostegno fondamentale di Russia e Iran, oltre che di quello sul campo dei miliziani di Hezbollah - che in diversi casi hanno risolto battaglie importanti per la tenuta militare del regime.
Queste diverse agende hanno da una parte consentito al regime di Assad di continuare a sopravvivere e a continuare ad ammazzare, distruggere, imprigionare - e dall'altra hanno in qualche modo «ucciso» la rivoluzione siriana, consentendo a gruppi minoritari ma meglio equipaggiati di avere egemonia sul campo, mettendo fuori gioco non solo le forze laiche e democratiche, ma anche in molti casi i Comitati locali della stessa rivoluzione, oltre a provocare rotture pericolose con le popolazioni e i gruppi kurdi.
In fondo questa situazione di «equilibrio» bellico - dove il regime non può pensare di tornare ad una situazione precedente il marzo 2011 e le opposizioni non sono in grado di vincere militarmente - è la migliore possibile per tutti questi attori che possono continuare a condurre i loro giochi politico-strategici sulla pelle delle e dei siriane/i.

Onestamente non riusciamo a credere davvero ad un intervento non militare di una «comunità internazionale» che non riesce nemmeno a organizzare un piano di aiuti umanitari degno di questo nome, che almeno protegga rifugiati e bambine/i con una «pacifica invasione» di forze disarmate e di sostegno alla popolazione. Non riusciamo a credere ad una diplomazia internazionale capace di proporre una «soluzione politica» che non sia il salvataggio del regime magari sacrificandone il simbolo (Bashar) per mantenere un attore che ha garantito un equilibrio regionale favorevole a Israele e quindi agli stessi Stati Uniti.
Per questo non riusciamo a lanciare appelli al «dialogo» e a «conferenze internazionali» che oggi sarebbero gestite dagli stessi soggetti statali e non che hanno le principali responsabilità nella distruzione della Siria.
Dichiararsi oggi con forza contro l'intervento Usa e alleato - contro i bombardamenti più o meno «mirati» e contro ogni altra misura di guerra - per noi non può infatti prescindere da una chiara, sincera e forte denuncia dei crimini del regime e dal sostegno alle ragioni della rivoluzione siriana. E in Italia questo significa stare insieme alle siriane e ai siriani che denunciano tali crimini e si mobilitano per la libertà e la dignità in Siria: sappiamo che molte/i di loro approveranno un eventuale intervento Usa: non condividiamo in alcun modo questa loro posizione, anche se comprendiamo quelle/i che sinceramente pensano che questo possa dare una tregua alle sofferenze della popolazione siriana. Per quanto abbiamo detto, non ne siamo convinte/i - e comunque ci sono ragioni politiche globali che rendono un eventuale intervento pericoloso e drammatico per tutte/i, siriane/i in primo luogo.
Vorremmo che si alzassero tante voci anche in Italia e in Europa che dicano con chiarezza che non accetteranno una nuova guerra occidentale in medioriente e che non accettano più di stare in silenzio di fronte ai crimini di Assad e del suo regime - e che per questo moltiplicheranno ogni iniziativa di sostegno alla popolazione siriana e alle forze di opposizione democratiche. Prima di tutto non lasciandole sole.

Piero Maestri.

martedì 27 agosto 2013

A proposito della Siria.

Dove c’è uno sterminio a guida del sanguinario Assad in Siria, lì deve esserci anche una nuova Hiroshima in nome dell'etica e della morale. Con un'unica differenza rispetto alle ultime guerre del Bene contro il Male: questa volta la firma è di un democratico, Obama e non dei Bush. Dopo più di due anni, i filo-occidentali si ricordano del massacro, mentre i filo-Assad di lanciare appelli contro la guerra imperialista, come se Russia e Cina non fossero coopartecipi e primi protagonisti del "nuovo" imperialismo cosmpolita e umanitario: quello col vestito cambiato, ma sempre a rimorchio degli interessi del dio Capitale e del Mercato. Mentre appare una contrapposizione più di facciata che reale tra Cina&Russia e Usa&Company sul tavolo dell'ONU, chi paga le conseguenze è il popolo siriano; non sorretto attivamente da una solidarietà internazionalista capace di incidere a favore degli interessi sociali e democratici di un popolo, che sta combattendo per la caduta di un regime assassino all'interno di un processo rivoluzionario.
Per saperne di più rimandiamo al libro "Elogio della politica profana" di Daniel Bensaid (Alegre 2013) e in particolare alle parti sullo stato d'eccezione ordinario, la guerra permanente e illimitata, le utopie contemporanee, i nuovi spazi e l'Egemonia e democrazia radicale.






giovedì 22 agosto 2013

Occupare per Riappropriarsi del pubblico!

Sull'esperienza di occupazione e autorecupero del Socrate Occupato di Bari. 

La presenza del centro di accoglienza per richiedenti asilo (C.A.R.A.), sommata alle leggi europee e nazionali, che limitano in maniera considerevole la libera circolazione dei cittadini stranieri che riescono ad ottenere lo status di rifugiati per motivi politici o umanitari, rende Bari (così come tutta l'Europa) una città che necessita di un'altra idea e pratica di accoglienza ed inclusione sociale. I trattati di Dublino, infatti, legano i rifugiati ai Paesi nei quali vengono identificati, costringendoli a palesarsi periodicamente presso gli uffici di competenza per confermare la propria presenza. Col tempo Bari è divenuta un luogo di stazionamento più o meno lungo. Tanto da favorire la nascita di vere e proprie comunità migranti, che sono diventate nel corso degli anni veri e propri punti di riferimento per i “nuovi arrivati” di volta in volta. 

lunedì 19 agosto 2013

Licenza di tortura


Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi, Luciano Isidro Diaz, Michele Ferrulli, Carlo Giuliani, Stefano Gugliotta, Franco Mastrogiovanni, Riccardo Rasman, Paolo Scaroni, Giuseppe Uva.


Undici storie, venti ritratti.


Un progetto fotografico di Claudia Guido


// 22 Agosto
h19.apertura mostra - interverrà Federico Cuscito, collettivo Rivolta il Debito 
h.20.proiezione del docu-film "E' Stato morto un ragazzo" di Filippo Vendemmiati

Tutti i giorni dalle 9 alle 12 e dalle 19 alle 21 fino al 1 Settembre.

A cura di Rumore Collettivo.





https://www.facebook.com/events/555576237811459/?notif_t=plan_edited


venerdì 16 agosto 2013

Il ferragosto di lotta degli operai Om - Tgr 16 agosto 2013

La lotta non va in ferie. Gli operai Om-Carrelli presidiano la fabbrica anche a ferragosto per tutelare il loro futuro e la loro dignità.


domenica 4 agosto 2013

Contro la precarietà per salvare anche la sanità

Storie di conflitti quotidiani: da Lecce a Bari i lavoratori della sanità pugliese rivendicano dignità contro la precarietà del lavoro.

Appena hanno occupato i lungomare di Bari, una sorta di tangenziale est a quattro corsie, i lavoratori in lotta della sanità di Lecce hanno ringraziato i colleghi della provincia di Bari accorsi a manifestare con loro, hanno intonato "Bella ciao" e immediatamente hanno deciso di permettere il transito solo dei bus per il trasporto cittadino: "i servizi pubblici devono essere garantiti", sono state le parole di alcuni di loro.


Dai lavoratori Om di Bari:Una proposta per riprendersi il lavoro


Questa volta sono direttamente i lavoratori in lotta dell'OmCarrelli a presentare una proposta per ritornare a lavorare e ri-prendersi la propria dignità. 
Oltre alla resistenza davanti ai cancelli della fabbrica, rivendicano la cessione della proprietà dello stabilimento e dei macchinari alla Regione Puglia, affinchè si possa riavviare l'attività produttiva attraverso una Cooperativa direttamente gestita dagli operai. Se il mercato in crisi continua a creare disoccupazione, povertà, saccheggio dei territori e dell'ambiente, queste pratiche di lotta e autorganizzazione iniziano ad assumere una loro credibilità, una possibilità di soddisfare i propri bisogni "fuori mercato".


sabato 3 agosto 2013

Inizia la lotta contro la chiusura della Bridgestone


Anche a Bari ogni promessa è debito se a farla è il padrone della fabbrica. Rischio licenziamento per 950 dipendenti!


La comunicazione ufficiale della chiusura dell'unico stabilmento Bridgestone in Italia pare essere arrivata a ciel sereno appena lunedì scorso a mezzo stampa. Come dichiarato dall'azienda, le cause sono riconducibili sia a fattori interni: processi e struttura organizzativa, presenza di macchinari funzionali a una produzione di pneumatici considerati di uso generico; sia esterni: costi della logistica ed energetici elevati. Nei fatti, però, ascoltando i lavoratori in presidio permanente davanti ai cancelli, le avvisaglie di un cambio di rotta e di una decisione valutata già da tempo c'erano tutte. Appena un anno e mezzo fa il nuovo direttore dello stabilimento, appena insediatosi, aveva pubblicamente detto che tutte le decisioni dello stabilimento saranno prese in funzione degli interessi e delle strategie della casa madre multinazionale giapponese con sede centrale europea a Bruxelles. 

C.S Comitato Art.33 Bari su finanziamenti pubblici a scuole private.

La polemica sui finanziamenti alle scuole dell’infanzia private, suscitata delle intenzioni manifestate dall’Assessore alla Pubblica Istruzione Losito di “congelare” i finanziamenti per garantire il servizio scuolabus messo a rischio dalle ristrettezze economiche del Comune, è un’occasione per ricominciare a parlare di diritti dell’infanzia e di scuola pubblica nella nostra città.

Ridurla ad una diatriba fra Ente Locale o, peggio, fra singolo assessore e gestori delle private, sarebbe del tutto fuorviante. E’ bene invece riportare il discorso su quello che l’Amministrazione deve fare per garantire il diritto dei bambini/e ad avere una scuola pubblica gratuita e di qualità e poter fruire dei servizi ad essa connessi (mense e trasporto). Questo rientra nella specifica funzione dell’Ente locale e a questo devono essere destinate le risorse del civico bilancio, da orientare esclusivamente nell’interesse della cittadinanza e non di una parte di essa.