sabato 2 novembre 2013

LA PRECARIETÀ DEGLI STUDENTI E L'INDIFFERENZA DEI DOCENTI!


Gli ultimi dati ufficiali dicono che la maggioranza degli studenti universitari è fuoricorso, circa il 55 %. È facile intuire i motivi del prolungamento degli anni di studio, oltre a quelli stabiliti a tavolino (tre anni per la triennale e due per la specialistica).  I dati statistici confermano che più del 70% degli studenti svolge attività lavorative durante gli studi, spesso senza regolare contratto, per potersi mantenere agli stessi o semplicemente contribuire ad aiutare le proprie famiglie. La retta universitaria, infatti, spesso è molto alta e grava pesantemente sui  redditi delle famiglie. Non bisogna, inoltre, sottovalutare l’aumento del costo dei trasporti, dei generi alimentari, degli affitti. Negli ultimi dieci anni tutto è aumentato tranne i salari. Si aggiunga, infine, che le borse di studio sono carenti sia per numero di studenti che ne usufruiscono sia per la somma di denaro erogata. 
Il sistema a doppio ciclo di laurea (3+2), dunque, non solo allunga il periodo di studio, ma non garantisce né una formazione critica, né un metodo di studio adeguato.
 Durante questi ultimi mesi, come se non bastasse, si sta attuando una trasformazione del sistema degli appelli per tutti i dipartimenti dell’ex-facoltà di Lettere e Filosofia che consiste, nei fatti, nella riduzione di quasi il 50% delle date di esame. Da parte dei docenti non c’è stata nessuna comprensione dei problemi degli studenti, soprattutto di quelli che vivono quotidianamente la precarietà, molto spesso costretti ad andare via dalle lezioni per recarsi a lavoro. Abbiamo visto in quei pochi docenti (e anche in coloro che si sono astenuti) cinica indifferenza e violazione delle consuetudini nel percorso decisionale.

Oggi è necessario laurearsi in fretta a causa dell’ingente peso economico della retta universitaria, centellinare i soldi da spendere, poiché per noi studenti nulla è gratuito: il cibo, i trasporti, la marca da bollo per un documento, ecc. Questi sforzi verrebbero sostenuti di buon grado qualora ci fosse una prospettiva di lavoro più o meno stabile, se la precarietà fosse un breve passaggio verso un lavoro degno di tale nome. La prospettiva, invece, è la disoccupazione, un lavoro malpagato a irregolare, l’emigrazione. Siamo ritornati ad un tasso di emigrazione nel nostro territorio pari a quello degli anni ’50. Dov'è finita la solidarietà? Dov'è finita la comprensione per i propri studenti? 

 L’episodio degli appelli è un classico esempio dell’ipocrisia della nostra società: i privilegiati sono esperti della commozione e della beneficenza che lava le coscienze e consolida il proprio potere; sanno diventare persino seri davanti alle pessime condizioni degli studenti precari, dei disoccupati, dei lavoratori duramente sfruttati, dei migranti. Ma quando gli si chiede di fare uno sforzo, un passo avanti per migliorare le condizioni di chi non è dalla loro parte, una soltanto è la risposta che sanno dare: l’indifferente silenzio.
 Dopo gli studi, a quanti non hanno raccomandazioni o famiglie facoltose alle spalle non rimane che la solitudine di un treno che li porta lontano dalla propria terra e famiglia, in chissà quale parte del mondo. La possibilità di fare stage o master di formazione comporta costi elevatissimi, senza contare che tali strumenti di formazione post laurea spesso non sono che modi illusori per far perdere tempo. Ci dicono ripetutamente che la laurea, oggi, non basta più; non sono sufficienti le numerose ore passate a studiare tra un cambio di piani di studi e l’altro, tra il succedersi di riforme che fanno a gara nel voler smantellare il sistema universitario pubblico. E se, dopo la laurea, colti da un moto di dignità, ci permettiamo di non accettare qualche impiego sottopagato e al limite dello sfruttamento, allora qualcuno ci dirà che il lavoro c’è, ma sono i disoccupati che non vogliono lavorare. E se disgraziatamente non superiamo uno dei mille colloqui o prove orali e/o scritte, diciamo a noi stessi di essere colpevoli del nostro destino senza lavoro.
 C'è chi dice che tra un anno usciremo dalla crisi, chi invece afferma che nei prossimi
anni la crisi continuerà. La fedeltà ai mercati finanziari, alle banche, al padrone della fabbrica, al docente universitario, sarebbe, secondo i potenti, lo strumento per risollevare le nostre condizioni, così come l’obbedienza, l’indifferenza nella corsa quotidiana. Diciamo basta a tutto questo! Riprendiamoci il lavoro, la dignità e i diritti. 


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