venerdì 29 novembre 2013

La scuola dei numeri primi

Pubblichiamo l'editoriale del n.8 della "Nuova rivista Letteraria", novembre 2013 semestrale di letteratura sociale

di Salvatore Cannavò
Quando il ministro Maria Grazia Carrozza ha annunciato lo stanziamento di 400 milioni per la scuola pubblica, ho ascoltato alla radio Girolamo De Michele che commentava la notizia citando una frase dell'afroamericano Jeriko One: "Stanno riordinando le sdraio sulla tolda del Titanic". La scuola come il Titanic è un'immagine appropriata. Ogni intervento, spacciato per una svolta, rappresenta un nuovo lettino riordinato; ogni euro sbandierato alle masse, una sdraio rimessa a posto. Tutto intorno, però, la scuola brucia. Brucia come paglia nel fienile, senza possibilità di salvezza per la semplice ragione che a dargli fuoco sono gli stessi che pretendono di salvarla.
Nel numero che avete fra le mani, oltre l'importante ripristino di vari, e nobili, "ripescaggi", la scuola occupa un ampia parte monografica, con una serie di articoli di grande qualità, impegno ed approfondimento come da tempo non si vedeva. Una scelta della redazione, assunta dopo il successo del referendum di Bologna, lo scorso maggio, in cui un comitato di cittadini, genitori, insegnanti, studiosi, hanno battuto tutti i poteri forti della città difendendo la scuola pubblica dall'ingerenze delle private. Quel referendum segna uno spartiacque, intenzionalmente dimenticato. Ha dimostrato, infatti, che nonostante la "restaurazione" che incombe da circa venti anni sul sistema formativa italiano, esiste ancora una dose di resistenza minima, incomprimibile, che cerca di salvare il salvabile.

La restaurazione è fatta di cifre, gli oltre 8 miliardi di tagli effettuati negli ultimi sette-otto anni, di numeri bislacchi, il caos intraducibile di graduatorie che si sovrappongono, di scelte spensierate, di concorsi pubblici che non si concludono. Ed è fatta di una vita che giorno dopo giorno, come ricorda ancora De Michele a proposito della "Lettera agli studenti" di Vaneigem, "Si annoia". 
La restaurazione è il metodo degli Invalsi, una "superficialità" che serve solo a sancire "la sacralità dei codici a barre" ed è anche una reiterazione dei codici narrativi, di spiegazione del mondo, che giorno dopo giorno impediscono alla scuola, come spiega Pieralisi, di diventare quello che dovrebbe essere: imprevedibile.
La restaurazione contiene un'evidente residuo ideologico. Cosa devono farsene i mercati imperanti e la legge gelida del profitto, di esseri pensanti e contraddittori con il lento fluire dell'esistente? Meglio una ripetizione automatica, una codificazione gerarchica che trova la propria sintesi maestosa nel grembiulino. Eppure, non ci sembra di assistere a un'arguta operazione di egemonia culturale da parte di una reazione sempre sveglia e all'opera. Questa, semmai, era la condizione dei primi anni 80, quando Reagan e Thatcher avevano un progetto sistemico e una bussola davanti che spingeva lo Stato fuori dalle vite dei propri cittadini, lasciandoli nudi in mezzo alla via, costretti a ripararsi dietro cortine fumogene come "sussudiarietà" o "privato regolamentato". 

La realtà della crisi globale si traduce, invece, in un gigantesco "si salvi chi può", in una ritirata strategica dei pubblici bilanci per salvare gli affari privati. In questa corsa a ritroso, la scuola è questione per "tecnici" e numeri primi, da far tornare costantemente sulla lavagna dei tagli lineari. La scuola del domani è risucchiata nel vortice asettico dei parmetri europei. Dai quali deriva, come materiale di risulta, la politica culturale di Stati sempre meno presenti e di una scuola ridotta a sala d'attesa.

I numeri rappresentano il motivo ricorrente di qualsiasi discorso pubblico: il numero delle immissioni in ruolo, quello degli insegnati di sostegno, il nemero degli studenti che ne avrebbero diritto, il posto in graduatoria, i codici degli Invalsi, il voto ripristinato, il "rating" dell'istituto, la "quota 96". E così via, in un profluvio di parametri, rapporti e codici a barre.   

La scuola come idea, sistema sociale, sistema di relazioni, progetto educativo, politica culturale non esiste. Se fosse tutto questo, produrrebbe due conseguenze immediate, e atroci: preparare a una corsa verso l'abisso, il vero sbocco esistenziale delle società moderne; oppure, in alternativa a quell'orrore, indurre al cambiamento, alla trasformazione, alla fuga dalla stabilità, parola tanto cara al premier Letta. Per questo, alla prestazione dei numeri primi ci sembra utile la dilatazione dei diversi codici narrativi. Come strumento di resistenza alla restaurazione e germoglio di una riedificazione. Il nostro, parziale, contributo per ri-ottenere una scuola pubblica degna dei nostri desideri

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